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«L'Italia va a tocchi»

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Monselice, 20 gennaio 2021. - di Adalberto de' Bartolomeis

Alle 17 del 24 luglio 1943 i 28 membri del Gran consiglio del fascismo, che non si riunirono dal 1939, si incontrarono a Palazzo Venezia per votare l'ordine del giorno che porrà fine al ventennio fascista, mettendo in moto il meccanismo che avrebbe portato all'uscita dell'Italia dalla Seconda guerra mondiale, ma con una seconda parte, però, di quella guerra che in Italia prese tanti nomi, ma che il più conosciuto prese il nome di Liberazione. Il giorno successivo Mussolini si recò a Villa Ada per riferire al Re l'esito del voto del Gran Consiglio.

Il colloquio durò circa una ventina minuti. Vittorio Emanuele III comunicò all'ormai ex duce che il voto dei gerarchi lo aveva indotto a nominare il maresciallo Pietro Badoglio quale suo successore al vertice del Governo, affermando: "Caro duce, le cose non vanno più. L'Italia è in tocchi. L'esercito è moralmente a terra. I soldati non vogliono più battersi. Gli alpini cantano una canzone nella quale dicono che non vogliono più fare la guerra per conto di Mussolini. II voto del Gran Consiglio è tremendo. Diciannove voti per l'ordine del giorno Grandi: fra essi quattro Collari dell'Annunziata. Voi non vi illudete certamente sullo stato d'animo degli italiani nei vostri riguardi. In questo momento voi siete l'uomo più odiato d'Italia. Voi non potete contare più su di un solo amico. Uno solo vi è rimasto, io. Per questo vi dico che non dovete avere preoccupazioni per la vostra incolumità personale, che farò proteggere. Ho pensato che l'uomo della situazione è, in questo momento, il maresciallo Badoglio. Egli comincerà col formare un ministero di funzionari, per l'amministrazione e per continuare la guerra. Fra sei mesi vedremo. Tutta Roma è già a conoscenza dell'ordine del giorno del Gran Consiglio e tutti attendono un cambiamento. Io vi voglio bene e ve l'ho dimostrato più volte difendendovi contro ogni attacco, ma questa volta devo pregarvi di lasciare il vostro posto e di lasciarmi libero di affidare ad altri il governo".

Pare che la ramanzina che il Sovrano fece a Benito Mussolini avesse toni urlati, perché repressi da troppe frustrazioni e rospi, accumulate nel tempo, che il vecchio Re Soldato si dovette ingoiare, avvallando, però lui stesso, un regime per oltre vent'anni. Difatti lo sfogo di Vittorio Emanuele III contro Benito Mussolini aveva una pianificazione, premeditata: alla fine dell'incontro, sempre nel cortile di Villa Ada Mussolini verrà arrestato dai carabinieri. Per tutta la giornata di quel 25 luglio verrà osservato un silenzio tombale su quanto accaduto a colloquio con il capostipite di Casa Savoia e solo alle 22:45 sarà data dalla radio la notizia della sostituzione del capo del governo. "Sua maestà il re ed imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di capo del governo, primo ministro, segretario di Stato di sua eccellenza il cavaliere Benito Mussolini ed ha nominato capo del governo, primo ministro, segretario di Stato, il cavaliere, maresciallo d'Italia, Pietro Badoglio".

Seguirà la lettura di due proclami da parte del Re e di Badoglio: quest'ultimo, per non destare sospetti nei confronti dei tedeschi, finiva con queste parole: "La guerra continua. L'Italia duramente colpita nelle sue province invase, nelle sue città distrutte, mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni. Si serrino le file attorno a sua maestà il re imperatore, immagine vivente della patria, esempio per tutti. La consegna ricevuta è chiara e precisa: sarà scrupolosamente eseguita e chiunque si illuda di poterne intralciare il normale svolgimento, o tenti turbare l'ordine pubblico, sarà inesorabilmente colpito".

Meno di due mesi più tardi, il 3 settembre, verrà stipulato l'armistizio con gli alleati, divulgato, però, con cinque giorni di ritardo. Le parole pronunciate con voce ferma dallo stesso Badoglio alle 19 e 42 dell'8 settembre 1943 dalla sede dell'Eiar sono ormai consegnate ai libri di storia: "Il governo italiano riconosciuta l'impossibilità di continuare un'impari lotta contro le forze soverchianti avversarie e nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto l'armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze anglo-americane. La richiesta è stata accettata. Conseguentemente, ogni atto di ostilità da parte delle forze italiane contro gli eserciti alleati deve cessare in ogni luogo. Le forze italiane però reagiranno agli attacchi di qualsiasi altra provenienza".

Cominciò così per l'Italia una nuova guerra, tesa alla liberazione del paese dall'occupante tedesco e dal ricostituito partito fascista nella Repubblica Sociale di Salò. Oggi, per nostra grande fortuna non viviamo più quelle indicibili sofferenze di guerra, ma ne viviamo delle altre: la pandemia, per esempio, un virus che non sapremo mai quando se ne andrà via e quindi un nemico da combattere tutti i giorni, scongiurando che si arrestino i morti da Coronavirus, per quanto i bollettini giornalieri aggiornino, purtroppo, il numero dei decessi, gli effetti che lo stesso sta procurando da oltre un anno sono devastanti sul piano psicologico, sociale ed economico. Gestire questi tre aspetti è difficile e lo stiamo vedendo nella complessa macchina burocratica che rischia di impantanarsi su tanti cose, a cominciare dai vaccini, tanto attesi, che tardano ad arrivare per contratti a monte, forse, stipulati male, che così le case farmaceutiche che li producono preferiscono venderli a chi paga di più.

Si subodora sempre più questa agghiacciante realtà che, naturalmente, viene smentita, perché più di qualcuno non ci perda la faccia. Intanto l'attuale governo italiano, picconato fortemente, con il tentativo di smantellarlo, per i troppi errori che continua a commettere riesce ad andare avanti ancora, arroccandosi per difendere l'ultimo baluardo di un mondo che è molto lontano da quello reale, solo per abbarbicarsi il posto in uno scranno di un Parlamento che è tanto distante dagli interessi degli italiani. Il Capo dello Stato, oggi, un Presidente della Repubblica e non quel Sovrano, mi sarebbe piaciuto che avesse detto all'attuale capo di un governo traballante: "caro Conte l'Italia va a tocchi: che facciamo? Così non si può continuare"... Senza grida e senza arresti, ma semplicemente invitandolo a dimettersi perché, a mio avviso, troppo malmesso e compromesso nella sua azione di piena superficialità.

«L'Italia va a tocchi»

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