Il pianista eseguì nel teatro Filarmonico il Concerto in la min. di Ottorino Respighi. Scritturato a Verona dalla fondazione Arena, si tentò di convincerlo a non suonare
Verona, 14 gennaio 2017. - di Sergio Stancanelli
Al termine della replica domenicale del IX concerto sinfonico della Stagione di primavera nel teatro Filarmonico concesso in uso dalla Accademia filarmonica di Verona alla fondazione Arena, il pianista Almerindo d'Amato, subissato d'applausi ed entusiastici consensi per la sua interpretazione solistica del "Concerto in la minore" di Ottorino Respighi composto nel 1902 ed eseguito in prima a Bologna l'8 giugno1902, pianista il dedicatario Filippo Ivaldi, e mai più dopo d'allora salvo la riproposta fatta dal maestro d'Amato nella Recital hall di Washington DC l'1 agosto 2009 prima che - esattamente centonove anni dopo, - nel giugno 2011 in Italia a Verona, chiesto silenzio si è rivolto al pubblico che gremiva platea, palchi e gallerie, per ringraziare l'Orchestra della collaborazione offertagli «nonostante i limitati tempo delle prove» resi disponibili dalla Direzione del Teatro per la preparazione del concerto.
Con riferimento all' insolita dichiarazione da lui rivolta pubblicamente agli spettatori al termine della sua esibizione, il cronista si è intrattenuto a cena e dopo cena con il pianista, dal quale ha ricavato un'intervista contenente testimonianze ai limiti dell'incredibile, che, opportunamente riveduta e messa a punto in ogni dettaglio dallo stesso intervistato, già non pubblicata dalla testata periodica cui il cronista collaborava in quei giorni (forse per evitarsi il ritiro dell'accredito... ), ripropone ora a "Trentino libero". Sembrò corretto al cronista, prima che la pubblicazione avesse luogo, metterne al corrente i responsabili della Fondazione inviando loro il testo dell'articolo, onde una loro risposta potesse far sèguito all'intervista sulla medesima testata, ovvero potesse essere concordata nel corso di un incontro diretto al quale testimone e cronista venissero invitati: ma nessuna risposta gli pervenne.
Intervistatore – Maestro, nel corso della nostra chiacchierata privata, Lei mi disse che arrivò a Verona con un giorno di anticipo, a proprî onere ed iniziativa, rispetto agli originari impegni con il teatro, per dare al direttore ed a se stesso il tempo di affiatarsi al meglio sulle linee dinamiche ed interpretative del "Concerto" di Ottorino Respighi, una partitura da più di cento anni fuori repertorio, e di ampliare quanto possibile i tempi delle prove con l'orchestra, certamente necessari per un 'opera del tutto incognita agli strumentisti. Tuttavia, dichiaratosi il Direttore indisponibile «per un ascesso al dente» - l'indomani fortunosamente sparito - , e non essendo stata prevista la presenza di un sostituto, nei giorni successivi Lei e l'Orchestra poteste provare solo per un paio d'ore in tutto. Fu volendo alludere a queste circostanze che, terminata l'esecuzione del "Concerto", Lei chiese un momento di sosta agli applausi per rivolgere la parola agli spettatori e fare presente che l'esibizione cui avevano assistito era il risultato di prove troppo limitate?
Maestro – Laddove per la musica di gruppi e complessi da camera si pretendono giustamente lunghi periodi di prove e studî di affiatamento al fine delle necessarie intese dinamico/interpretative fra gli interpreti, a maggior ragione essi sono indispensabili quando a doversi affiatare sono decine di strumentisti, fra loro e con il solista. Qui invece sembra sia invalso riservare alle prove tempi minimi, per una mera giustapposizione precostituita al massimo risparmio di còmpiti separati fra solista ed orchestra. Ciò limita la corretta e spontanea interazione musicale, che è base vitale di ogni realizzazione artistica. Questo stato di fatto diviene autentico malcostume e sospinge verso le comode scelte di routine nelle programmazioni del repertorio, oltre a favorire, in relazione a nuove e più impegnative acquisizioni, una condizione di svogliatezza fra i professori d'orchestra, indotti così a considerare più gli aspetti meramente lavorativi che non quelli artistici della professione.
La oggettiva cronistoria della mia esperienza veronese registra poi: - la vanificazione del mio arrivo il martedì, determinata dall'indisponibilità senza preavviso del direttore dell'orchestra Andrea Battistoni, dichiaratosi sofferente per un improvviso ascesso a un dente, l'indomani completamente sparito; - l'assenza di un sostituto; - la omissione, ad inizio prove, di una adeguata e corretta presentazione del solista agli orchestrali da parte del direttore; - l'accostarmisi, appena dopo la prima lettura del brano, di un violoncellista, il quale, prima mi complimenta dichiarando che il mio suono è pulito e preciso, e subito dopo, per una strana azione di scoraggiamento, argomenta negativamente sulla musica del Respighi, già «mollato dallo stesso Regime fascista», larvatamente suggerendomi, non certo per propria libera iniziativa, di rinunciare a suonarlo; - il dimezzamento l'indomani mercoledì delle prove per il solo "Concerto" respighiano, due in tutto in luogo delle quattro previste in contratto dalle ore 15 alle 16 con il direttore e dalle 16 alle 19 con l'orchestra, a favore dell'inserimento di altri brani già previsti nel turno di prove del mattino, cancellato con la giustificazione priva di significato di «esigenze tecniche»; - il contenimento in solo mezz'ora, dalle 12.15 alle 12.45, della prova del giovedì mattina, che il Direttore il giorno precedente mi aveva assicurato per non meno di un'ora e mezza, dalle 11.30 alle 13.00; - l'annullamento di una ulteriore prova di almeno un'ora che il direttore di produzione e il direttore d'orchestra, a sèguito delle mie rimostranze il pomeriggio del giovedì, mi avevano formalmente assicurato per la mattina del venerdì dopo la prova generale. Viceversa, assolta questa, il direttore d'orchestra impegnava tutto il tempo residuo non per il "Concerto" del Respighi come previsto, bensì per reiterati ripassi di quello di Nino Rota, accettati quest'ultimi senza obiezioni sindacali di sorta dall'orchestra in buon sodalizio amichevole con il direttore.
A sèguito del forte disappunto da me espressogli dopo che erano terminate le prove degli altri pezzi in programma a fine mattina del venerdì - giorno in cui la sera vi sarebbe stata la première - , «Ora il pomeriggio sarà tutto per Lei», mi dichiarava il direttore Battistoni. Dopo di che, da non credere, mi lasciava ad attenderlo tutto il pomeriggio senza farsi vedere, senza mandarmi per telefono o per messaggero un cenno, senza degnarsi di rispondere alle mie innumerevoli chiamate al cellulare. Soltanto la sera, mezz'ora prima dell'inizio del concerto, dopo avermi accennato a un suo impedimento per un ... ritorno di sensibilizzazione dolorosa al dente – che evidentemente gli aveva anche impedito di rispondere al telefono o di mandarmi un messaggio di giustificazione – , si degnava di ascoltarmi per consentirmi di fornirgli - partitura alla mano - qualche ultima raccomandazione atta a rendere meno incerto l'a-plombe fra pianoforte e orchestra, nonché per l'intesa nelle entrate in battute con ritmi diversi o non ancora chiariti.
Ma non è ancora tutto. Dopo la prima del sabato sera, l'indomani domenica 13, prima della replica pomeridiana, ancora una volta il maestro Battistoni mancava ad un appuntamento preso con me per le 15,30 allo stesso fine di memorandum dei principali punti di attenzione esecutiva, e si presentava soltanto al momento di dover salire sul podio.
Intervistatore – Nel corso della nostra chiacchierata durante la cena, Lei accennò anche ad un tentativo, diciamo così, ufficiale, di indurla a rinunciare a suonare. Di questa pratica già avevo sentito vociferare, e recentemente un violinista mi aveva dichiarato chiaro e tondo che, dopo la prima prova, qualcuno l'aveva avvicinato proponendogli un compenso più alto di quello pattuito se avesse rinunciato a tenere il concerto dichiarandosi con qualche pretesto impossibilitato. Egli si era rifiutato, però da quel momento nessuno l'aveva più degnato. Un po' come è successo a Lei, maestro d'Amato, che se non fosse stato a cena con me e con la mia amica Ελευθερία avrebbe cenato a un tavolo di ristorante da solo. Come se neanche esistesse, il violinista era stato ignorato. Dopo una sola prova, aveva regolarmente sostenuto la sua parte solistica, suonando con l'orchestra quasi senza avere mai provato. E' ovvio che in queste condizioni il giudizio del critico musicale ignaro di questi retroscena non può risultare benevolo.
Maestro – E' purtroppo vero. Considerando tutto quanto descrittole, sembra deducibile che il violoncellista ad inizio prove abbia assolto in avanscoperta un primo sondaggio affidatogli al fine della mia rinuncia. L'operazione è stata poi guidata dal vicedirettore artistico maestro Sobrino, e veniva seguita con certo evidente disagio dal direttore artistico maestro Fanni. Quest'ultimo, il quale la sera prima mi era parso preoccupato che io protestassi il concerto per la mancanza di prove, mi aveva anzi assicurato dopo avere presenziato alla generale: «Non ti preoccupare, andrà tutto bene, riposa tranquillo nel pomeriggio». Invece proprio in quel sabato pomeriggio, a sole quattro ore dal concerto serale, il maestro Sobrino, che non si era mai fatto minimamente vivo con me nei giorni precedenti, né per un saluto di cortesia né per una informativa realmente responsabile ed attenta allo stato dell'intesa pianista/direttore/orchestra, mi chiamava e poi veniva in albergo dove alla presenza del maestro Fanni e di una terza persona, improvvisamente si faceva «scrupolo per senso di responsabilità» (!) dei rischi a cui avrebbe potuto andare incontro il Teatro per possibili incertezze esecutive, ovvero mancanza d'intesa o di a-plombe con l'orchestra, incertezze le quali avrebbero potuto ... «pregiudicare la mia stessa immagine, quale artista solista il più esposto nel brano». Alla inattesa proposta rozza e sconcertante che io rinunciassi alla prestazione, con dichiarazione non veritiera di mia indisposizione (ascesso a un dente??) in cambio della promessa – ormai non più credibile – che il mio concerto sarebbe stato riproposto nella Stagione successiva, risposi indignato negativamente. Dichiarai quindi che, al limite, io, certamente non indisposto, avrei potuto accettare, per indisponibilità dell'orchestra, di sostituire al "Concerto" con orchestra quattro "Pezzi" per pianoforte solo già pronti in repertorio, di cui due dello stesso Respighi e due di altri autori italiani, purché fosse stata resa nota la vera ragione del cambiamento di programma, dovuto alla riduzione delle prove, e venisse ufficializzata e pubblicizzata la data precisa della ripresentazione del "Concerto" di Ottorino Respighi, con previsto e rispettato adeguato calendario di prove. La mia pretesa non veniva neppure presa in considerazione, con la motivazione che «avrebbe esposto la efficienza di gestione organizzativa del Teatro a pesanti critiche nell'ambiente veronese». Si voleva in pratica coprire il tutto mettendolo a mio carico, con impudente strumentalizzazione di comodo e danno inevitabile alla mia immagine. Dopo lunga discussione, i miei antagonisti, di fronte alla mia fermezza, rinunciavano alla stolida operazione. Con quella premessa nell'animo, io, in luogo dei riposo pomeridiano, andavo in palcoscenico dove su un pianoforte non accordato, come confermatomi dall'addetto all'archivio del teatro, provavo per mio conto, non senza affrontare anche una situazione - già lamentata, mi è stato detto, da altri solisti – di squilibrio acustico fra percussioni e strumenti acuti assorbiti da tendaggi distesi in alto troppo distanti rispetto al pianoforte , e riflesso invece in avanti in basso sul proscenio.
Avevo ben donde quindi, alla fine del "Concerto", di ringraziare comunque anche l'Orchestra per la collaborazione offertami: non senza intimamente congratularmi con me stesso per avere affrontato e superato le difficili e assurde condizioni che mi si erano fatte incontrare nelle due prestazioni. Considerazione logica: se a tre ore dal concerto di venerdì, dopo lunga e tesa discussione, si insisteva per ottenere una mia rinuncia, e però si scartava anche la mia controproposta di eventuale sostituzione del programma con Pezzi per pianoforte solo, evidentemente si doveva avere già ben in animo una segreta alternativa: un giovane da lanciare come solista salvatore della patria accanto al pur giovane direttore, con un brano già affiatato con l'orchestra, oppure, e questa è per me l'ipotesi quasi certa, l'inserimento nel programma di un ulteriore brano per sola orchestra al fine di completare il plenum ad onore del giovane direttore veronese, sul quale non emetto giudizi ma che è certo qualcuno vuol fare emergere.
Intervistatore – Devo ammettere che quel che Lei mi racconta ha dell'incredibile. I tentativi in passato già attuati per lanciare un direttore di scarso pregio ma di spalle poderose, come cronista degli spettacoli areniani mi sono evidenti, e ne ho testimoniato nelle mie recensioni. Stipulare un contratto con un pianista di notorietà internazionale, oltre tutto scelto tutt'altro che fra le giovani leve, pubblicizzare ai quattro venti la sua presenza e la messa in programma di una partitura che nessun vivente ha mai ascoltato dal vivo, per richiamare il massimo possibile di pubblico, e poi fare in modo che il concertista rinunci a suonare! sembra una trama di Dario Fo. Certo la strana storia non è nuova. Ma il concertista che mi raccontò qualcosa del genere prima di Lei, si rifiutò a un'intervista. Qui lo dico, e qui nego di averlo detto, mi disse: non posso provarlo. Quindi devo ammettere che è solo una mia invenzione, sennò rischio una querela e magari anche una condanna.