Durante il 2° conflitto mondiale è stato forse l'unico italiano ad essere richiamato alle armi senza essere esentato dall'attività professionale: durante l'anno scolastico, professore al Nautico di Napoli nella mattinata, ufficiale al Porto di pomeriggio o sera o notte o di domenica; negli altri mesi, ufficiale a tempo pieno nei porti di Napoli, Taranto, Reggio Calabria, Spalato. Nel giugno 1943, quando le forze Alleate – espulsa dall'Africa Settentrionale l'armata italo–tedesca del generale Rommel, si appressavano a sbarcare in Sicilia – fu costretto a trasferirsi inspiegabilmente in due successive Capitanerie di Porto delle isole Ionie: di giugno a Santa Maura, d'agosto a Cefalonia (Argostoli).
Quando il recensore scrive «Rientrato in patria, all'autore non resta che meditare dell'«essermi essermi trovato nella tragica vicenda di Cefalonia per avere - giustamente - bocciato il figlio di un ammiraglio.» altera completamente senso e stati d'animo del brano originario (pag. 259) «Di preferenza parlavo dei miei figli, della mia ansia di ritornare alla cattedra, delle aspirazioni che ancora mi turbinavano nella mente, del dubbio che mi attanagliava di essermi trovato nella tragica vicenda di Cefalonia per avere giustamente bocciato il figlio di un ammiraglio.» Grazie allo Stancanelli diventa l'arzigogolo di uno scampato dalla guerra comodamente seduto in una poltrona di casa sua il groviglio di tormenti di uno studioso che – strappato alla famiglia ed alla scuola – vive nella drammatica clandestinità successiva a quel 22 settembre in cui è restato vivo ed illeso dopo le raffiche di mitra ed i colpi di grazia dei giustizieri nazisti: un mese alla macchia fra grotte e case diroccate di Cefalonia, 13 mesi nel primitivo villaggio di Achirà fra i monti dell'Acarnania, in gran parte vissuti assieme al compagno di sventura, lo sfortunato tenente De Angelis, morto prima del rimpatrio.
Una seconda cantonata del recensore la rilevo quando specifica «L'autore non fa il nome del personaggio, che il cronista identifica nell'ammiraglio Falangola» riferendosi a quel punto del testo e trascurando l'altro punto (pag. 30) in cui è scritto «il mio nome doveva essere contrassegnato in rosso tanto più che, nel precedente anno scolastico, uno dei figli del Comandante Generale - Ammiraglio Falangola - dopo essere stato, nella sessione d'esami estiva, da me giudicato idoneo alla terza classe della sezione capitani, in virtù di un indulgente criterio di valutazione che non aveva nulla a vedere con l'alto rango paterno, da me ignorato, non potetti poi in seguito non bocciarlo».
Terza cantonata si rivela nel brano «Questi amava dire della propria sconsideratezza che l'aveva indotto a chiedere il richiamo alle armi al solo scopo di interrompere la vita monotona di ogni giorno. Gli era andata bene quando aveva sostato per più giorni a Brioni in piacevole compagnia», riferendosi non si sa bene a chi. Il periodo completo del libro (pag. 89) è invece «ed allude ad una sincera ed intima confessione fatta a mio padre dal De Angelis in merito alla sua vita romana e matrimoniale.
Molto probabilmente l'evidente ammirazione del dott. Stancanelli per l'ammiraglio di Squadra Mario Falangola – condivisibile per la gloriosa attività bellica svolta nei sommergibili – gli impedisce di prendere atto che quell'alto ufficiale, dal 1939 Comandante Generale delle Capitanerie, con l'inaudito provvedimento di un singolo trasferimento in zona d'operazione senz'alcuna giustificazione strategica, sia stato l'artefice di una vile resa dei conti a danno di un subalterno colpevole soltanto di avere esercitato il suo compito di professore.
La frase «Il bischero fra quelle mura vi aveva trascorso i suoi giorni operosi» (pag. 172) è poi il risultato di una pessima lettura dell'originale che, riferendosi ad un oggetto ritrovato in una casa abbandonata, è «Il bischetto diceva chiaramente che tra quelle mura vi aveva trascorso i suoi giorni operosi» e "bischetto" – forse lo Stancanelli lo ignora – è una piccola tavola bassa su cui lavorano calzolai e ciabattini. Per quanto riguarda il periodo «del rimpatrio degli italiani se ne occupavano i generali Tom e Infante» non comprendo perché sia stato menzionato.
Quanto alle espressioni recanti errori so bene che andava scritto «avevano deposto le armi» anziché «avevano deposte le armi» (pag. 119), «e di ciò ne ebbi conferma» anziché «e di ciò n'ebbi conferma» (pag. 191), «tutti cari giovani che avevamo avuto sempre accanto» anziché «tutti cari giovani che li avevamo avuti sempre accanto» (pag. 203), «un suo cavallo di nome Psarru che .... si voleva rinvigorire» anziché «un suo cavallo di nome Psarru il quale .... lo si voleva rinvigorire» (pag. 287), «ma qual era la strada» anziché «ma qual'era la strada (pag. 225), «uno Shylock» anziché «un Shylock» (pag196).
Di tali errori – come di vari altri – ne sono ben consapevole e spero che si possano correggere in un'eventuale ristampa, meritevole anche di alcune cartine topografiche da tanti richieste. Mio padre, dopo aver vissuto una simile odissea, riprese con invidiabile disinvoltura i suoi impegni scolastici senza però dimenticare il proposito e la promessa fatta a chi conosceva la sua storia di scrivere le sue memorie, avvalendosi anche di un blocchetto di appunti stilato durante la permanenza in Grecia e di tante bozze che ancora conservo. Con il pensionamento terminò il manoscritto (1972) di cui le allego le pagine riguardanti la fucilazione dalla quale uscì vivo ed illeso (assieme al De Angelis e ad altri due ufficiali, feriti). Dalla calligrafia e dall'ordine della stesura comprenderà la meticolosa precisione dell'autore. Nel rilegare il manoscritto non lo sottopose ad alcuno per correggere gli inevitabili errori di trascrizione, certamente dovuti alla fretta di concludere e non ad ignoranza della lingua italiana, come il dott. Stancanelli vuol far credere tirando in ballo l'ortografia, la grammatica e la sintassi.
Di quegli errori non me ne sono accorto io nel riportare su dischetto il testo cartaceo, né i redattori di Mursia, né il dott. Pirani, né i tanti lettori e stimatori del libro nell'edizione cartacea ed in quella on line su Internet. Non se ne sono accorti i maggiori quotidiani nazionali successivi al 25 aprile 2001 – data di visualizzazione in Internet – ed al 23 ottobre 2003 – data di prima presentazione al circolo ufficiali di Napoli. Addirittura digitando e cliccando sull'indirizzo winformatico ww.worldcat.org/title/sopravvissuto-a-cefalonia/oclc/53450704?loc=US&tab=holdings si potranno visualizzare le sette biblioteche statunitensi che hanno una copia in italiano del libro.
Del dott. Stancanelli non mi colpisce tanto la crudezza nel rilevare le cose formali che, a suo giudizio non vanno, quanto l'assoluta mancanza di riferimento ai contenuti. La disputa con l'ignoranza degli alti comandi della Marina per tentare di raddrizzare il "Quirinale" nel canale di Santa Maura, il clima di difficile trattativa fra i Comandanti della Acqui e della Wermacht, i sette giorni di battaglia trascorsi sotto il martellamento incessante degli incontrastati Stukas, i particolari della resa, della cattura e della fucilazione, la vita clandestina vissuta elemosinando, lavorando nei campi o curando gli animali, dormendo sui pagliai infestati dai topi o all'aperto, scivolando nell'abbrutimento, lottando contro i pidocchi, prendendo la malaria, ricevendo la massima comprensione dagli indigeni greci e da un maggiore inglese ex–nemico, ritrovando l'indifferenza dei commilitoni italiani ritrovati a Taranto. Nulla di tutto ciò in quella recensione. Complimenti!
Scusandomi per l'inevitabile lunghezza della presente, La ringrazio Signor Direttore per l'accoglienza e La saluto cordialmente.
* figlio del prof. Mariano Barletta e curatore dell'opera