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Perché non dirlo apertamente?

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depressioneMonselice, 25 gennaio 2017. - di Adalberto de' Bartolomeis

Caro Direttore, la nostra è ormai una società di depressi e cronici, pure. C'è di tutto che lo dimostri attraverso una variegata manifestazione negli atteggiamenti. Dallo stato di abulìa alle forme di aggressività, le più violente, estreme, con azioni di ferocia inaudita. Chi è depresso, o soffre e se ne accorge, oppure non sa ancora di esserlo, oppure finge e ci convive , o si vergogna a dirlo, perchè il marchio dell'infamia sociale, purtroppo, è sempre lì, da sempre, in ogni epoca, quindi, in agguato.

La depressione endogena e non quella esterna, quella cosidetta reattiva, è una malattia psichiatrica dal devastante impatto sociale. Non è "solo sentirsi un po' giù". Più il confine del giù si allontana e sprofonda in un limite difficile da raggiungerlo e più esiste un' incapacità di mantenere un rapporto equilibrato con la realtà e quindi di funzionare per sè e per gli altri.

Ci sono studi a riguardo, retti da persone di scienza, medici, psicologi, sociologi, gente che analizza modelli sociali e formalizza statistiche che più si va avanti nel tempo il futuro non promette molto di buono.

Anzi, questo rapporto esistenziale con la realtà pone in una condizione di disabilità mondiale, forse, ancora prima di altre grosse patologie. Esistono, naturalmente, i sostegni, ma questi, pur avvalendosi di grandi capacità di lavoro, atti a lenire, se non tendere a fare anche l'impossibile per far uscire chi se n'è accorto di essere malato e guarirlo, questo genere di aiuto è alimentato dalla farmacologia che non sempre funziona come terapia buona sulla struttura biochimica del cervello.

Che differenza c'è tra tristezza ed apatia? Se questi stati d'animo sono lunghi o rappresentano una peculiare manifestazione dell'essere e quindi sono esistenziali, pongono ciò che comunemente diciamo "ma è di carattere introverso" e a metà si sbaglia, mentre nell'altra metà ci prende, ovvero, indovina che il confine tra tristezza ed apatia si chiama depressione. C'è ancora chi si riprende da un lutto e chi cade nel baratro del trauma.

E ancora chi si alza la mattina e non vede l'ora di viverla la giornata "come vada vada", con il giusto distacco e chi invece pensa che ogni azione presente e futura sia qualcosa di inopportuno. E inutile negarlo: si convive anche dalle manifestazioni più banali che dalle piccole ossessioni si arriva alle fobìe e gli ausili delle tecnologie multimediali, a mio avviso, sono diventati una componente alla depressione, per cui una "cattiva compagna".

Perché non dirlo apertamente?

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