Aosta, 5 giugno 2017. - di Giancarlo Borluzzi
Sogno o son desto? Me lo sono chiesto atterrando a inizio maggio nell'aeroporto (intercontinentale, si noti) di una capitale europea non UE: fatto inconsueto, ritiro i bagagli prima del controllo dei passaporti, ma poi non c'è alcuna verifica di polizia per entrare (e neanche per uscire) in un paese che pare abitato da soli autoctoni. Qui i cavalli, liberi in grandi spazi, ammontano a un quarto della popolazione e sono tutelati per bellezza e specificità al punto da poter essere esportati ma non reimportati perchè introdurrebbero germi altrove metabolizzati.
Lo stupore mi accompagna per tutto il mese: in una via centrale della capitale una madre lascia sul marciapiede il passeggino con dentro il bimbo sui sei mesi per entrare in una panetteria ove l'aspetta una lunga coda. Non circola denaro contante: si pagano con la carta di credito anche importi minimi come l'accesso alla toilette dei parchi nazionali. Mi sono spostato soggiornando in appartamenti o villini in mezzo al nulla pagati via internet, ritirando la chiave con tecniche da 007 e rilasciandola senza aver mai visto proprietari che si fidano ciecamente degli ignoti inquilini. Una figuraccia all'unico cottage per turisti di una fattoria sperimentale: chiedo la chiave che mi dicono non esistere, troverò aperto e non chiuderò la porta il giorno dopo per tornarci solo a sera.
Negli appartamenti, quale regalia, si trovano anche prodotti da cucinare: integriamo nei supermarket, portandoci nel borsone termico quanto necessario per fare colazione prestissimo e cena (a "pranzo" al massimo un caffè) a causa della difficile reperibilità di strutture in un ambiente sostanzialmente disabitato: la capitale coi sobborghi alloggia il 60 per cento dei residenti in un paese che comunque è oltre un terzo dell'Italia.
Fuorché nel centro della capitale, il parcheggio è gratuito; non ho mai incontrato polizia stradale pur avendo percorso 6092 km; un tunnel sottomarino più lungo di quello del Gran San Bernardo ha un pedaggio pari a un terzo di quello di quest'ultimo; dappertutto c'è il wi-fi gratuito. Ghiacciai tipici alle alte quote alpine qui si spingono quasi a quota zero rendendo l'iceberg un top nei laghi che creano.
Un altro mondo, ma con l'eccezione della lingua francese, inesistente come in quasi tutto il pianeta ma con l'amenità caratterizzante la finzione valdostana perché, in una cittadina di mare al cui ingresso troneggia una bandiera francese, le vie sono indicate in lingua locale e anche nell'idioma transalpino. In quell'inglese che qui tutti parlano correntemente, i passanti mi dicono che un pugno di pescatori francesi fondò l'agglomerato dai cartelli viari che destano la loro ilarità perché il francese è totalmente sconosciuto ai locali.
Lingua francese "oggetto misterioso" come quella italiana: nell'ufficio aeroportuale della società che mi ha noleggiato l'auto, una volta compreso che io e i figli eravamo italiani anche se parlavamo in inglese, dissero di fornirci carte e documentazioni anche nel nostro idioma, però... il loro secondo kit era in francese, localmente così ignoto da ritenerlo la lingua dantesca. Potrei continuare, ma concludo dicendo che lo Stato è l'Islanda, la località dai cartelli bilingui che inorgoglirebbero un qui transitante localista valdostano, criticabilmente disinteressato all'aderenza tra diciture formali e realtà effettive, è Fàskrùdsfjordur. Un paese dalle specificità indubbie, con l'eccezione che conferma la regola: il francese non esiste, ma con il tic valdostano relativo alla finzione collegata alle insegne viarie.