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Il disabile sempre più emarginato, la realtà di «Enzo». Una realtà terribile

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Gian Piero Robbi Trento, 20 settembre 2017. - di Gian Piero Robbi

Egregio Direttore, a proposito di inclusione, parlando con una persona disabile, viene fuori che l'inclusione è, forse, solo sulla carta, e se andiamo ad analizzare la realtà dei fatti, viene fuori qualcosa di terribile, che per certi aspetti è peggio della galera, l'emarginazione per paura di... Il piccolo racconto che segue è l'estratto di una chiacchierata che ho avuto con una persona che, dopo un po, rivela in confidenza una realtà terribile.

Il mio nome è "Enzo", nome di fantasia per ovvi motivi di riservatezza. Sono un essere umano come voi. Guardo con gli occhi, ascolto con le orecchie, parlo con la bocca, tocco con la mano. Una sola, però.

Perché gli altri tre arti non mi funzionano. Sì, sono un disabile e la mia vita è, a causa della mia malattia, per niente semplice. Comunque sia, sono vivo e ho diritto ad essere trattato come ogni altro essere umano, no? Sì, direte voi... Beh, non è proprio così scontato.

Figuriamoci, poi, se il disabile in questione diventa anche un 'mostro'. E non perché si è reso protagonista di chissà quali fatti orrifici ma perché, parola dopo parola, bocca dopo bocca, si è diffusa pure la più brutta delle voci: mi piacciono i bambini. Sì, è vero.Perché, nel pensiero dei normali, chi è disabile è malformato, ha un difetto di produzione. Di conseguenza, il disabile è un'anomalia di sistema che, visto che non si può aggiustare, va messa da parte, per alcuni addirittura "in discarica", in attesa che, prima o poi, si consumi, proprio come avviene per la spazzatura "organica".

Mi piacciono. I bambini sono il fulcro e l'essenza dell'essere umano, per me i bambini sono l'individuazione concreta dell'innocenza e della spensieratezza. Per questi esseri umani in miniatura siamo davvero tutti uguali: neri, bianchi, bipedi e 'carrozzati'. I bambini, inoltre, si sorprendono di fronte a ogni meraviglia e gli basta poco per avvertire la felicità in sé.

Sì, quindi, mi piace stare accanto ai bambini, i quali non mi guardano con gli occhi ipocritamente compassionevoli di certi adulti. E' terribile, però, che c'è chi ha scambiato tale vicinanza con qualcosa di terrificante, così tanto da non riuscire a scrivere neanche quella maledettissima parola.

Beh, vi assicuro che sarebbe meglio essere trafitto da un coltello sul cuore che sapere che c'è chi pensa che io possa turbare e maltrattare l'innocenza dei bambini. La caccia al mostro, però, è partita e io sono solo in una comunità che mi detesta.

Ecco perché sto decidendo di andare altrove, via da dove vivo. Sì, lo so... gliela darei vinta. Gli darei ciò che vuole chi prova disprezzo verso di me. Eppure, in nome della dignità e soprattutto per contrastare il dolore smisurato che provo, la fuga sarebbe un'azione logica.

Eppure, non ho ancora preso questa decisione. Cerco ancora – forse stupidamente – un barlume di umanità negli occhi di chi incrocio. Qualcuno che non mi veda come un orco storpio né come un essere da commiserare ma semplicemente un uomo. Perché è quello che io sono.

Vedete, possiamo parlare di diritti, pensioni di invalidità, indennità varie, agevolazioni, ma fino a quando le persone ci vedranno con il "culo", scusatemi per la volgarità, invece che con il cuore, le cose non cambieranno mai, continueranno le indifferenze generali di massa e il disabile verrà sempre più relegato come un oggetto che porta soldi (per qualcuno), magari chiuso in una teca con scritto "rompere il vetro in caso di necessità". Quale necessità? Quella economica naturalmente.

Il disabile sempre più emarginato, la realtà di «Enzo». Una realtà terribile

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