
Basti pensare a Cavit (primo marchio italiano negli USA), per cui il mercato americano vale il 60% del fatturato o a Mezzacorona che grazie a Prestige Wine Imports (società newyorkese appartenente al gruppo, fondata nel 1985) copre circa un terzo del proprio fatturato. Tuttavia vi sono anche numerosi piccoli vignaioli che, negli Stati Uniti, hanno trovato la loro "terra promessa".
A questo punto verrebbe quasi naturale incolpare l'inquilino della Casa Bianca di voler boicottare il mercato del vino trentino salvo poi, a seguito di un'attenta analisi, far ricadere la colpa sui produttori trentini.
Vedete, è fisiologico (e auspicabile) nel momento in cui dalla terra inizia a sgorgare petrolio, che chi investe non si avvicini ad esso per raccogliere il prezioso liquido con un bicchiere, quanto piuttosto con un secchio. Non è altrettanto normale che, nel momento in cui ci si accorge che quello che fluisce non è petrolio ma liquame, ci si sia scordati l'ombrello a casa.
A questa affermazione i produttori trentini potrebbero facilmente controbattere dicendo che gli Stati Uniti sono il Paese con il maggior consumo di vino al mondo (in pratica, è lì che che si trova il business). Tuttavia i dati parlano chiaro ed un rapporto curato dalla Cooperazione trentina nel 2015 (quindi ben prima della c.d. "Trump-era") ha dimostrato che, già allora, quasi un terzo degli imprenditori intervistati aveva evidenziato la paura per una prossima introduzione di dazi sui mercati esteri.
Questo dimostra come, per l'ennesima volta (e non solo in questo settore), la compagine trentina si sia adagiata sugli allori senza sfruttare il tempo che le era stato ampiamente concesso per tirare i remi in barca e "migrare" verso lidi più soleggiati.
Mai più di oggi si rivela veritiera la constatazione di John Maynard Keynes secondo cui:" Investire con successo significa anticipare le anticipazioni degli altri".
*Responsabile programma agricoltura AGIRE per il Trentino