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Lettera aperta al Ministro della Difesa

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Monselice, 16 settembre 2018. - di Adalberto de' Bartolomeis*

Alla Cortese Attenzione del Signor

Ministro della Difesa
On. Ministro Elisabetta Trenta
Palazzo Baracchini-Caprara
Via XX settembre
00123 ROMA

Signor Ministro della Difesa, chi le scrive da questo giornale "on-Line" è un colonnello promosso a titolo onorifico nella riserva, cessato dal servizio attivo il 30/03/2017. Ero tenente colonnello all'atto della conclusione del mio lungo impiego e quindi non percettore di quello che da parte del suo governo il suo capo politico di riferimento va tanto decantando "i beneficiari di "pensioni d'oro".

Lei, quindi, si meraviglierà che un non ex dirigente le possa scrivere ed invece sento di dovere di farlo, non fosse che, per lo spirito di appartenenza che mi unisce sempre ad una scelta fatta ormai in un tempo lontano, ma soprattutto ad un vincolo di un giuramento da cui non sono sciolto. Desidero sostenere un vivo appello, proprio in difesa di una categoria di professionisti dello Stato che, per specificità di ruolo e funzioni, sono stati i portatori di un impiego molto particolare perché, in armi, hanno sacrificato per vocazione di un mestiere che ha radici sacre dall'Unità d'Italia, una vita lavorativa particolare e diversa dalle altre, nell'evolversi della società di questo Paese.

Fedeli ad un vincolo, appunto, di un giuramento alla Nazione, questa gente, non più in servizio, ma che ha lasciato il loro posto solo a chi è più giovane di qualche anno, è stata servitore silente che, al credo dell'obbedienza, ha svolto e chi li succede svolge funzioni, il cui pregio è farlo rispecchiandosi sempre verso i propri connazionali, per sentimenti di forte attaccamento ed eredità del supremo dovere verso la Patria.

Sono i custodi di tante tradizioni che, rinnovate, nelle molteplici attività di cooperazione interna, con altri organizzazioni dello Stato ed in particolare nel quadro della scena internazionale, hanno assolto impieghi difficili, rischiosi, remunerativi nella gratificazione di esserci, con lo spirito di continuità di grandi Valori per i quali i loro predecessori si sono anche onorati di gloria, per la salvaguardia dell'unità nazionale, cardine nel rispetto di quella sovranità che uno Stato non deve mai abdicare o confondere con un mutare di scelte politiche sovranazionali di altra natura. I quadri dirigenti assurgono a tale funzione per merito selettivo e quindi capacità solo di aumentare responsabilità ed oneri, divenendo imprenditori di persone e di organizzazione, sempre adeguata al modulare continuo delle esigenze, in un contesto di collaborazione con i partner internazionali.

Lo diventano da giovani e terminano il loro profilo professionale di carriera con una proliferazione di esperienze lavorative che, mediamente, a 60 anni li portano a dirigere con "team" di complesse esperienze di elevare professionalità, ancora per qualche anno, importanti infrastrutture di giurisdizione nazionale, ma anche nei contesti internazionali. Dopodiché, soltanto chi raggiunge il grado apicale lascia il servizio attivo per requisiti previsti dall'attuale quadro normativo. Il compenso a loro attribuito, che si chiama pensione, viene calcolato in funzione di una progressività di carriera, parallela ai contributi che nel suo sviluppo vengono versati allo Stato, dall'atto dell'incorporamento alla forza armata scelta, i quali aumentano sempre in funzione del grado che ricoprono e per cui dello stipendio commisurato. La somma totale dei contributi, aumentata pure per la diversificazione dell'impiego, fa si che esistano senz'altro e più che giusto pensioni dignitose e di tutto rispetto. Mi limito solo a dirle, Onorevole Ministro che dignità e rispetto si traducono in un compenso guadagnato "sul campo", interamente con un notevole, costante, sacrificio di lavoro che è soggetto ad orari diversi dagli altri impieghi, che abbondantemente e spesso va ben oltre le 8 ore di servizio.

Non c'è sosta nei casi di necessità, come non c'è rifiuto di spostamenti continui, per trasferimenti di sedi, in virtù delle immutate disposizioni che regolano i principi della mobilità. È con queste ultime mie parole che confido, gentile Signora, affinché Lei abbia facilità di riflettere e comprendere se sia appropriato o meno che a conclusione di una lunga carriera questi ex funzionari dello Stato in uniforme si meritino di sentirsi chiamare pure dei privilegiati che ricevono le cosiddette "pensioni d'oro" ed altri appellativi, di cui certo non sono loro i destinatari.

*col. t.o. (ris)

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