Aosta, 30 gennaio 2012. - Caro Direttore, a dieci anni dalla scomparsa di Samuele Lorenzi, prescindendo dal culto del localismo evidenziato nel servizio specifico del TG3 valdostano e attenendomi a quell’oggettività che a molti a suo tempo mancò, vorrei fare alcune considerazioni su quanto successo, basandomi anche sulla conoscenza diretta di Anna Maria Franzoni. Fui il solo a criticare gli sbilenchi commenti dell’allora sindaco unionista di Cogne e la mia posizione finì sulla carta stampata, premessa per trascorrere un’intera giornata con la sfortunata madre nel suo agriturismo nell’Appennino.
I miei figli giocarono col suo primogenito Davide, mangiammo i funghi della sua panoramica tenuta che visitai conoscendo tutti i suoi familiari. Mi raccontò di Cogne e della sua esperienza di madre: i suoi occhi erano lucidi. Una persona normalissima di cui si legge che non avrebbe più il ricordo di quanto successo.
Su ciò vorrei soffermarmi: chi pianifica ed esegue un assassinio è condannato all’ergastolo che, accettando il rito abbreviato, si tramuta in una detenzione di 30 anni. La Franzoni in primo grado optò per il rito abbreviato e fu condannata a 30 anni. Io non capisco. In appello gli anni furono 16, da ridursi a 13 per uno sconto di pena generalizzato; tra due anni dovrebbe poter uscire in modo cadenzato dal carcere.
Una considerazione ovvia, che però alcuni si sono scordati di estendere anche ad Anna Maria Franzoni: le madri vivono in primissima persona la cura dei figli, specialmente se piccoli, e da tale compito sono talora soverchiate, con eventuali momenti in cui i nervi possono saltare, con conseguenze tanto variabili quanto non volute. Come non pensare che possa essere stata questa la causa di quanto la Franzoni, secondo meccanismi analizzabili solo da psichiatri, ha forse poi rimosso dai suoi ricordi? In tal caso, come non stupirsi per un iter giudiziario che a me pare abbia valutato i comportamenti senza sufficientemente collegarli ai “nervi” di una madre che, quando è padrona di sè, tutto vorrebbe tranne un tale dramma familiare?
Astrattamente, il giudizio non doveva forse essere riservato a un consesso di psicanalisti e psichiatri? Penso che la risposta sia scontata perchè si dovrebbe giudicare la Franzoni con ottica umana, trascurando il fatto che nelle interviste, per autodifesa o autodistruzione del ricordo, non abbia riconosciuto ciò che ad alcuni appare come l’unica dinamica ipotizzabile. Una madre come tante che merita il rispetto comunque dovuto a chi paga con la perdita di un figlio, prima ancora che con la temporanea privazione della libertà, la “colpa” di nervi saltati.
Va quindi condannato l’acritico crucifige nei confronti di una madre trattata come se avesse agito con premeditazione; e va stigmatizzato anche lo show di alcuni “benpensanti” di Cogne, spinti dai loro limitati orizzonti ad anacronistiche distinzioni tra come si comporterebbe chi è autoctono e chi non lo è, senza capire che i drammi umani sono tali senza connotazioni legate all’anagrafe.
Giancarlo Borluzzi