
Ciò ricordato, vengo agli errori da Guinness relativi alle indicazioni delle vette visibili da Saint Nicolas.
Le passeggiate in questa località hanno il top in un marciapiede a sbalzo in legno e con panchine nella parte alta della strada. Per "spiegare" il panorama sono stati collocati due cartelli, uguali e con l'indicazione di nomi e altezze delle vette. Ma ci sono castronerie a gogò; riferirò solo su cime visibili anche da Aosta.
Al centro dell'anfiteatro c'è il gruppo del Rutor comprendente 4 vette; la prima da sinistra, la Testa del Rutor, è la più alta e famosa, ma non è indicata nei cartelli. La seconda è lo Château Blanc ma è denominato Flambeau, che invece è la quarta cima; poi viene il monte Doravidi, però chiamato Château Blanc nei cartelli; poi c'è il Flambeau, di cui non viene indicato il nome, forse perchè prima affibbiato allo Château Blanc.
La Chamoussière è la punta più elevata visibile nella costiera tra Valsavarenche e Val di Rhêmes, ma viene denominata Bioula anche se quest'ultima è invisibile e se tra le due c'è la punta di Ran, pure invisibile.
Tra Val di Rhêmes e Valgrisenche la cima più alta visibile da Saint Nicolas è il Grand Revers, non la Becca di Tos, indicata nei cartelli ma coperta da altre vette.
All'estremità nordovest della Valgrisenche un insignificante panettone alto 2500 metri viene indicato come Testa del Paramont di 3186 metri: ma tale Testa, modestissima, è collocata altrove e non è visibile. La vicina Torre del Tighet viene indicata come Monte Lussé...
Potrei continuare, ma lo spazio è tiranno; invito chi organizza a Saint Nicolas concorsi dialettali, cui vengono portati d'imperio dei ragazzini da indottrinare come tipico ieri nella Cina di Mao e forse oggi nella Corea del Nord, a correggere cartelli in linea con gli errori presenti sul Peuple Valdôtain, settimanale dell'Union Valdôtaine finanziato dallo Stato, che, tra le varie perle montane, più volte ha posto a illustrazione di Cogne foto di Dru e Verte, famose cime sul versante francese del Monte Bianco. Dimostrazione che ai fantasiosi etnolinguisti valdostani le montagne scaldano il cuore solo come pretesto per chiedere contributi, sovvenzioni, aiuti e indennizzi.
Giancarlo Borluzzi