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8 settembre 1943: la testimonianza di mio padre tra invasione e resistenza

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Trento, 6 settembre 2021. - di Giannantonio Radice

Egregio Direttore, il disastro italiano era ormai compiuto, la guerra era persa e l'unica via da percorrere, dopo la stipula dell'armistizio con gli anglo-americani, era quella di trovare una dignitosa soluzione che permettesse al popolo italiano di curare e rimarginare le ferite causate da dissennate e improvvide scelte politiche.

C'era più che mai bisogno di una autorevole e capace guida in grado di gestire la situazione creatasi, fornendo assistenza e aiuto sotto forma di ordini e direttive. Le attese risposte non arrivavano e videro invece la fuga vile e indecorosa del Re e del generale Badoglio colpevoli d'aver abbandonato il popolo italiano al loro destino.

Fu così che l' 8 settembre 1943 l'esercito tedesco che, subodorando la caduta del fascismo e il conseguente comportamento italiano, aveva già organizzato un piano di invasione dove riversare la stessa violenza e crudeltà che gli erano tipici, acuita dal desiderio di infliggere, agli ex alleati, una punizione esemplare..

Trento fu la prima città italiana a provare sulla propria pelle l'esito criminale dell'azione teutonica. Il primo libro sulla resistenza in Trentino, scritto da mio padre (La resistenza in Trentino 1943-1945 – 1960 di Antonino Radice, edito da Arti grafiche Manfrini) ci testimonia e descrive quell'atmosfera di terrore, resa ancor più drammatica dall'assenza di una qualsiasi guida a cui rivolgersi.

Nella nostra città esistevano alcuni presidi militari occupati in diverse caserme. Dopo la comunicazione ufficiale della sottoscrizione dell'armistizio, avvenuta attorno alle 20 di quell' 8 settembre, in tutta fretta i militari rientrarono nei loro alloggi in attesa delle necessarie disposizioni operative.

Le frenetiche richieste rivolte al Comando Generale romano per conoscere come organizzare la difesa, che evidentemente era ormai necessaria dal momento che le truppe tedesche già si trovavano con cannoni e carro armati negli immediati dintorni di Trento, e l'autorizzazione a prelevare le numerose armi e munizioni che erano state posizionate per ragioni di sicurezza in luoghi vicini e sicuri, caddero nel vuoto. Le truppe e i loro diretti superiori si trovarono dunque nel drammatico dubbio se resistere con le poche armi di difesa possedute, appellandosi al senso dell'onore e della Patria, o sottrarsi al combattimento in attesa di una riorganizzazione che potesse riproporre una controffensiva. Non ebbero tempo per decidere.

Alle 2.30 del 9 settembre l'invasione cominciò con bombardamenti prima e con l'avanzata dei carri armati che precedevano le truppe nemiche armate di tutto punto. La caserma Cesare Battisti di Corso degli Alpini fu la prima ad essere investita e mio padre, che in quella tragica notte era Ufficiale di Picchetto, insieme ad un manipolo di suoi commilitoni, armato di soli fucili e pistole affrontò l'impari lotta con i nemici. Dodici furono le vittime e numerosi i feriti e i prigionieri. Quella notte però il contributo di vite umane doveva purtroppo aumentare fino a raggiungere le 49 unità: eroi caduti negli alti presidi della città e fino a Rovereto.

Iniziava così la prima "Resistenza" ai tedeschi; in quell'occasione attuata da un esercito, se pur in disgregazione, regolare e più avanti da una più "articolata resistenza organizzata" defilata e alla macchia ma assai efficiente e in continua operatività fino alla definitiva liberazione avvenuta con il decisivo intervento delle truppe americane.

Mio padre, ferito e fatto prigioniero, riuscì poi a fuggire dall'ospedale dove era ricoverato e fu, in tempo di pace, insignito della medaglia d'argento al valor militare.

(nella foto la copertina del libro di Antonino Radice "La resistenza nel Trentino 1943 - 1945")

8 settembre 1943: la testimonianza di mio padre tra invasione e resistenza

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