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Un mistero la morte di Leandro Arpinati

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Monselice, 9 settembre 2021. - di Adalberto de' Bartolomeis

Caro Direttore, è martedì 7 settembre e, come spesso faccio, prendo la macchina da casa e vado a trovare il mio caro amico Giampiero Fabbri, tra Argelato e Casadio, in provincia di Bologna, presso un bellissimo ambiente che accomuna me, da molti anni e tante altre persone, al volo sportivo, amatoriale, dell'aeroplano ultraleggero. Piero, come vuole farsi chiamare dai soci in un'aviosuperfice dal nome "Air Reno Club", ma altrettanto da un ambito volatorio molto più allargato, non è solo un istruttore di conosciuta fama, di aeroplano, aliante, volo a vela ed elicottero, ma rappresenta un punto di riferimento nodale per manutenzioni, riparazioni e tutto ciò che attiene alla meccanica e ad un importante supporto verso chi, proprietario di queste macchine volanti, non può limitarsi ad eseguire, sempre da solo, le ispezioni ed i controlli ordinari, importantissimi, se si vuole andare per aria.

L'affabilità nel bolognese è una caratteristica un po' di tutti che ci vivono e, ogni volta che trascorro qualche ora in questo club, è come fare una rimpatriata tra gente allegra, gioviale e costantemente disponibile al buon umore, alla chiacchiera, a volare ed a prediligere, naturalmente, la compagnia davanti alla buona tavola. Piero, oltre a tutto ciò che ho detto, sa molte cose sulla Storia del nostro Paese, soprattutto la più recente, sulle due guerre mondiali.

In particolare è particolarmente informato su ciò che avvenne in Emilia, sull'Appennino tosco emiliano e nell'area di Bologna, durante l'ultimo conflitto. Conosce storie talmente particolari che talune, poi, sono inedite.

E fu così che mi volle fare vedere quella mattina del 7, in volo, con il suo P.92 Tecnam, un'ala alta, dove venne ucciso Leandro Arpinati. Io gli chiesi chi fu questo Arpinati e lui mi disse: "ma come, non sai chi era?" No, gli risposi. "Era un fascista anomalo, ma si faceva volere bene da tutti. Fu anche podestà di Bologna e, durante la guerra aiutò molta gente, nei momenti più drammatici, a mettersi in salvo, non curandosi se fosse ricercata o per motivi etnici o perché schierata da una parte o dall'altra, per ideologia". Decollammo dall' aeroclub e facendo poca quota, immediatamente, ad un raggio di qualche chilometro, mi indicò ancora la casa dove assassinarono questo Leandro Arpinati, il 22 aprile 1945, mentre la guerra stava finendo.

È la tenuta di Malacappa, una casa isolata a nord tra Casadio ed Argelato, a ridosso di un'ansa che fa il fiume Reno. Leandro Arpinati nacque a Civitella di Romagna il 29 febbraio 1892 e fu un fascista che per tutto il periodo del regime del Duce ebbe anche incarichi significativi, benché considerato piuttosto libertario allo stesso regime, poiché proveniente da ideali socialisti, che naturalmente cozzavano con la dottrina di partito. Fu ucciso da un gruppo di giovani uomini e donne che portavano il bracciale dei partigiani della 7^Brigata Gap.

Anche il suo amico di fede socialista, Torquato Nanni (1888-1945) venne fatto fuori insieme a lui, che era stato sindaco di Forlì, mentre stava tentando di difenderlo. Pare che ci siano dei racconti trapelati dagli stessi carnefici che, sopraggiunti sul luogo, a casa sua, dapprima indugiarono ad uccidere l' Arpinati perché erano al corrente che l'uomo, oltre ad avere posto in salvo antifascisti ed alcuni partigiani, nascose, per un periodo nella sua casa, pure vecchi fascisti, militari alleati e persino tedeschi in transito.

Insomma, era un uomo innocuo, non compì mai azioni delittuose, anche perché durante l'intero conflitto se ne stette nella sua tenuta, ma ciò non lo salvò dall'essere giustiziato. Difatti, questi partigiani dell'ultima ora, come ripeté più volte la figlia Giancarla, lo andarono semplicemente a scovare perché sapevano, per il solito passaparola, che si trovava a casa sua.

Pare che avvenne un tentativo di difesa e di colluttazione contro gli avventori, soprattutto da parte dell'amico Torquato Nanni che gli fece da scudo e così partì la raffica di più mitra che li stese tutti e due, davanti agli occhi della figlia che venne risparmiata dall'essere accoppata. Giampiero Fabbri concluse dicendomi che, poiché Arpinati era a conoscenza di molte cose e forse parecchi intrighi sul regime, anche le circostanze della sua morte restano un mistero perché nessuno volle più andare a fondo su questa esecuzione.

La figlia disse che nei giorni prima dell'uccisione del padre si aggirava una banda comunista di un Commando partigiano molto noto, che tra Argelato e zone limitrofe fecero numerose rappresaglie contro fascisti ed ex famiglie degli stessi.

C'è invece chi sostenne che la morte cruenta di Arpinati era da collegare alla sua conoscenza di troppi segreti scottanti su uomini di spicco del passato regime, in quanto, in un primo tempo del ventennio fascista lui stesso rivestì ruoli importanti, che divennero scomodi a chi nutriva invidia e pure sospetto di doppiezza da parte sua. Storie che furono scritte sul personaggio, per cui sono documentabili.

Fu così che la sua fine, come quella del suo amico difensore, intervenuto, per tentare di bloccare una pura vendetta, rimane un enigma e rappresenta un lungo elenco di violenze commesse sul finire della guerra, ma che si trascinarono soprattutto anche dopo. Attualmente, in questa casa esiste una lapide che la figlia e sua nipote vollero erigere a ricordo di quell'infausta giornata.

(nella foto Leandro Arpinati  e la Tenuta di Malacappa in frazione di Argelato e Casadio. Veduta aerea)

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