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Mancano i seguaci

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Monselice, 1 ottobre 2021. - di Adalberto de' Bartolomeis

Egregio Direttore, quante volte abbiamo sentito dire, oltre ad avere studiato, che dalla notte dei tempi dell'uomo, dalla sua alba, insomma, scorrendo attraverso lo sviluppo delle facoltà cognitive e dell'intelligenza, nel progredire delle società, ci sono sempre stati capi clan, capi di gruppi di persone, capi popolo.

Solo per richiamo di esempio all'antica Grecia, come all'antica Roma, esiste una sterminata, dotta letteratura in merito a grandi demiurghi, filosofi, scrittori, militari, i quali, ciascuno, aveva i propri discepoli, i propri sostenitori, gli epigoni, gli affiliati: i seguaci.

Nello sviluppo del pensiero umano tutti costoro sono pure morti a sostegno di un'ideale, di una fede indefessa verso lui, il capo indiscusso, riconosciuto ed amato. Basta vedere, per esempio, come sono diventati martiri i discepoli di Gesù, portatori della sua parola in un mondo di pagani che credevano nelle loro divinità, rappresentate persino dai sassi. Sono ricchissimi gli esempi nel corso di come si è andata a sviluppare la storia di questi seguaci che, in nome e per conto del loro capo carismatico, hanno trasformato intere società, sia nel bene come nel male. Di esempi ci sono tomi di libri celeberrimi ed altri meno, su cui sono riportati, a partire già dalle infinite massime su cui dovevano essere evidenziati concisi scritti, come l'intero significato della vita stessa, da parte di chi doveva emergere, voleva o doveva distinguersi da coloro che sarebbero, poi, diventati suoi adepti, suoi ammiratori o suoi sostenitori. Ecco che esce fuori il profeta, il vate, il capo riconosciuto ed indiscusso, predestinato per sue attitudini a guidare, dirigere, comandare, fino ad essere considerato anche una sorta di "nume tutelare", il colui che oggi lo chiamiamo "leader".

Quindi i "leader" sono sempre esistiti e sono stati anche importanti. Molti hanno risolto tante cose, soprattutto se avevano capacità e competenza nel sapere sviluppare la direzione della vita pubblica e quindi una costituzione, un'organizzazione, un'amministrazione di uno Stato. Quindi, nella scienza della politica, persino certi poeti, scrittori, condottieri, militari, generali, nonché sovrani, hanno interpretato anche bene il ruolo di questa scienza, ma non sempre! Sapere o non sapere fare il politico. Il divenire di chi doveva, perché costretto dagli eventi, o solamente perché aveva ambizione di predisporre mentalmente e dopo, nella vita reale, degli obiettivi, è riuscito a portarsi con sè masse di persone che lo hanno seguito a sostegno di uno sviluppo di un ideale, di una fede, non necessariamente religiosa e sempre fino alla fine, al punto che, puntualmente, questi "leader", insieme ai loro seguaci che raggiungevano per numero, persino vaste estese di popolazioni, sono, puntualmente, tutti ricordati, postumi e non mancano mai di essere studiati sotto molti profili antropologi e quindi scientifici.

Ci servono tutti per trovarne sempre uno che s'identifichi nel ruolo, ma soprattutto si differenzi per avere apportato delle novità. Deve essere sempre uno solo, nonostante oggi il trasformismo di una società divenuta globale, per esigenze "strategiche" che solo a pochi sono conosciute, fa molta fatica ad accettare che quel solo uno ne sia sempre il capo, il "leader". La tendenza, benché mascherata da convenienze, spesso, ipocrite, è non accettare che taluni si possano elevare a tale rango, per doti che, fisiologicamente, di fatto, non si trovano in altre persone. I meriti hanno caratterizzato e continueranno a caratterizzare e porre un'inevitabile classificazione, distinta per predisposizione, attitudine, istinto, virtù e molto altro ancora e perciò evidenziano, inevitabilmente, la discriminazione sociale, per cui si arriva, sistematicamente ai soliti vizi capitali come l'invidia, l'accidia, accompagnata quest'ultima dalla neghittosità, giusto per fare solo degli esempi, quantunque siano stati anche bravi capi di Stato o ministri plenipotenziari.

Sta nella natura umana degli eventi che, da come esiste un inizio per questo tipo di ruolo, esiste pure una fine. Il dopo lo sappiamo: o vanno in pensione, o vengono ammazzati, oppure si spostano e fanno spazio ad altri. Solo che tutti, indistintamente, non sono assolutamente mai uguali e non si ripetono mai, fortunatamente! Chi spera di attendersi una figura carismatica di un tempo è solo un nostalgico idealista, fuori dal tempo e rischia pure di essere pericoloso. Ma noi questo tipo di nostalgico non lo vogliamo. Vogliamo però che qualcuno sappia emergere per proprie straordinarie attitudini affinché venga non solo ammirato, ma ascoltato nei suoi suggerimenti, nelle sue indicazioni, nel suo desiderio di dare direttive perché facciano bene ad un'organizzazione pubblica e non solo privata.

Su quella privata c'è il capo di un'azienda con i suoi operai e dipendenti vari. Insomma, per chiuderla qui questa argomentazione, mancano determinati seguaci, semplicemente perché non ci sono, non esistono più. Un tempo facevano muovere le idee e non solo quelle, intorno a chi le sapeva esporre, svilupparle, atte soprattutto a contrastare quando poteva esserci un sano confronto. L'Italia ha conosciuto questi "leader" rappresentanti di piccoli, ma anche di grossi partiti politici. Ha conosciuto, nel bene, persone ingegnose e stupende di sana spavalderia ed audacia. Ha conosciuto nel male anche chi aveva ben altri piani, disegni e prospettive molto strani, per logiche aderenti a balzani concetti di Stato che non si sarebbero incastonati tanto bene in mezzo ad altri. Desidero riferirmi, solo per fare un piccolo inciso, al secondo dopoguerra, dove esisteva, molto ingombrante, una politica assurda che era già stata "scaricata" dal più grosso partito comunista della porta accanto: l'Unione Sovietica.

Adesso è da almeno un trentennio che l'Italia degli italiani non ha più nessuno all'altezza di essere quello che solitamente viene definito uno statista. Non esiste, non c'è e non se lo può inventare, perché mancano attitudini, stile e competenze. La storia, intanto, in piccolo, in questo embrione di umanità mondiale, che è il territorio italiano, non ha, per l'appunto, nessuno all'altezza di poter essere considerato tale, perché inoltre non c'è coerenza, dirittura morale e nemmeno lungimiranza. Pertanto, l'ipotetico "leader" o statista che sia, non sa perciò guardare oltre a quello che altri, in altri Paesi, almeno tentano di fare, fino a quando anche loro, però, vanno a sbattere, si barcamenano, si arrancano, ma almeno ci provano. Qui non esiste più questo tipo di cultura, da molto tempo! Purtroppo è una condizione sociale triste e non conforta che sembra quasi che si debba vivere il "Carpe Diem" di Orazio, cioè "afferra il giorno, cogli l'attimo" e vivi, questo lo aggiungo io, semplicemente da resa inerte.

È impressionante, perché con questo malsano atteggiamento che nel frattempo è pure divenuto endemico, in quanto conformista, di un unico modo di pensare, come poter sfangare e vivere alla giornata, il colui che poi si impone doti che non ha affatto e viene pure reputato un "leader", prima o poi, tenderà a distruggere, non a costruire! Fa molto per sé, mascherando d'illudere una parte sociale ed economica, creando il cosiddetto solco, il divario, una spaccatura che poi diventa difficile ripianare. Intanto i danni sono fatti! Per camuffare "abilmente" le apparenze si limita, burocraticamente, a perseguire solo degli schemi preconfezionati, oppure li improvvisa e lì inizia il guaio. Alla collettività offre ben poco, se non niente! Pertanto è diventato pure fisiologico che non possano esistere più seguaci se non uscirà mai fuori un vero capo!

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