Monselice, 17 maggio 2022. - di Adalberto de' Bartolomeis
Egregio Direttore, la tragedia di tutte le guerre è la sua forma più truculenta di fornire l'immaginazione dell'indicibile. È la razionalità che si sovrappone all'irrazionalità, finendo, quasi per "divinizzare" i conflitti.
Purtroppo è sempre stato così ed anche se invochiamo la pace, chi non è protagonista dei conflitti ma li dispone a distanza, avrà la tendenza a spettacolarizzarli, celebrando uno scontro e identificandosi nell'eroe armato che muore. Gli orrori, il sangue, la morte, le devastazioni, finiscono per non avere risposte razionali e ciò che purtroppo diventa inumano corre il rischio di diventare persino un "gioco"e perciò lo stillicidio è nel tempo che durano le guerre.
La loro durata è data da come si vuole programmare di quando farle finire. Giusto per prendere un riferimento recente basta capire quanto sono durate le guerre nel secolo scorso. Oggi, la guerra in Ucraina rischia di diventare una ripetizione di come la si voglia far perdurare però, una volta costruita l'immagine del nemico da sconfiggere. Solo che là sono in guerra ed anche noi siamo in guerra. Una guerra vera, con tutti i suoi orrori, dove il nostro immaginario collettivo finisce poi, paradossalmente, per accettarla, quantunque sul piano umano della razionalità dovrebbe coesistere il rifiuto.
La guerra che vediamo a frammenti dal vetro del televisore, o scorriamo con gli occhi nel leggerla sui giornali, anche con vistose immagini di morti e distruzioni, finisce per farci costruire nelle forme più diverse pure un senso di "fascinazione" che non ha spiegazione razionale, ma soltanto estetica. È la tragedia "bellissima" della guerra, ma che al tempo stesso è orrenda. Gli antichi greci ne seppero cogliere un'ebbrezza mitica, da narrazione.
Qui si rischia di fare altrettanto quando si parla di pace che, di fatto, esisterebbe solo sul terreno di battaglia.
C'è sempre pace dopo una vittoria e c'è chi la celebra con parate nonostante l'abbia indetta. Questa si chiama irrazionalità della solita propaganda, sia da parata e sia da annunci, dichiarazioni, azioni, adozioni di misure che invocano legittimazioni, ma che, ipocritamente, può sospendere per ore una guerra e però tira in mezzo altri soggetti che misurano il loro coinvolgimento con ogni mezzo umano: arroganza, ipocrisia, da una parte, ricerca mite della mediazione e del buon senso dall'altra, per raggiungere, insieme un fine, che spesso è scontro e allora è la guerra che è destinata a durare come se fosse tele guidata. In tutto ciò non si arresta la violenza di colui che non è mai vincitore, ma sempre un vinto, un perdente sulla scena di chi governa la realtà, finendo per enfatizzare, dal solo commento, in diverse forme in cui si svolge, cioè, da quello dell'inviato a quello dell'esperto, una pluralità di immagini che esce dai televisori, esprimendo, pure, una bassa e spesso volgare qualità estetica e di comunicazione.
(nella foto due soldati ucraini si riparano a terra)