Monselice, 23 novembre 2022. – di Adalberto de' Bartolomeis
Egregio Direttore, esiste una categoria di persone che, nel corso dell'evolversi delle società, nello scorrere delle epoche, contrassegna, una netta distinzione rispetto al proprio comune simile. È la stessa società che la inquadra, la colloca in un determinato posto nell'esistenza umana.E d'altronde è la collettività che, formata da più soggetti, gli stessi, per le caratteristiche di comportamento, trovano, ciascuno, una precisa collocazione. Ci sono gli ottimisti, i pessimisti, gli annoiati, gli abulici, gli oppressi, gli euforici, gli arrabbiati, gli allegri, i tenaci, i determinati, i tristi e così via, fino ad arrivare agli ansiosi. Questi ultimi, o per eredità familiare, oppure per determinate circostanze che li rendono tali, vengono giudicati spietatamente dalla società. Non c'è posto per loro... o è molto difficile che lo trovino.
Forse nella compassione, nel pietismo, nella non facilità a tollerarli, a comprendere le ragioni che li hanno portati a questo stato. Perciò la società si divide in due categorie per costoro: " i poveretti", "gli ultimi", dove niente di più semplice hanno un nome: si chiamano depressi. La società o li esclude totalmente, li ignora, perché non accetta che rivelino determinate condizioni della mente e dell'animo, oppure, per forma di autodifesa, prese ogni genere di distanze da loro, nutrono la più totale indifferenza.
Chi è ansioso si dice spesso che è un depresso perché non è come gli altri: ha l'umore nero, è irritato, non ha stimoli, tende ad evitare la socializzazione, è persona schiva, può essere aggressivo e presentare più livelli di questo lato. L'ansioso rischia di finire come in un grande girone o vortice, dove in fondo c'è l'abisso, mentre ai bordi del girone è come se lo stesso fosse il cratere di un vulcano, dove il sentiero, piatto, liscio, sconnesso o stretto che sia è sempre quello, uguale, perché è un cerchio, da cui o si gira intorno in continuazione, oppure si può anche riuscire ad uscire, ma guardando in alto però, guardando su e non giù; guardando al cielo, non in basso, non verso il fondo del cratere, dove non vedi, perché c'è buio e non vuoi vedere, ma sei continuamente distratto, per cui sei tentato a vedere cosa c'è laggiù, in fondo; sei sostanzialmente attratto.
Nel frattempo stai camminando ed il percorso circolare ti riporta sempre al punto di partenza, dove ricominci a camminare, per rifare lo stesso giro, infinite volte, che così ti snervi, ti rendi nervoso, ti arrabbi e tu sei lì, ma ci sei con la tua testa, non nella realtà!
Ad un certo punto ti prende il panico, arrivi a piangere per disperazione, avverti un peso sul torace, caldo, sudore e poi, costantemente enormi sensi di colpa: tanti, una montagna e non ti accorgi che non solo sono troppi, o esagerati, perché sproporzionati o semplicemente inutili e fanno male, molto male, fisicamente o per una morale che ti stai inventando, vuoi costruirla solo tu.
Arrivi così a non dormire la notte, hai paura che venga sera e sai che starai per andare là, a letto, perché, poi, dovresti dormire, ma non ci riesci. Se riesci ad essere bravo, però, avvalendoti di aiutini vari... "caramelline per la testa o acqua per il cervello che ha molta sete"... arrivi, intanto, a dormire. Poi cominci a pensare cosa ci sarà mai oltre ai bordi del muro circolare di cui sei a ridosso e non vedi nulla, oltre a questo cratere.
Dai che vuoi vedere cosa c'è sopra i bordi e sai che sopra di te c'è il cielo, c'è la luce e tanta anche! Ce la fai: intravvedi finalmente un appiglio, ti aggrappi, ci monti sopra, ti reggi in piedi ed immediatamente vedi uno spettacolo grandioso, enorme, perché è vasto, è infinito: è la distanza dai pendii con gli ampi spazi: è il mondo, è la vita che c'è, bellissima ma che a volte è anche piena di questi crateri.
Nulla è scontato che si riesca a starne lontani da questi crateri e l'imprevedibilità che la stessa vita pone è anche questo destino: una o malgrado anche più esperienze di questo tipo, ma da poterne uscire bene, al prezzo di un aggettivo che ho sopra menzionato: tenace.