Aosta, 8 luglio 2012. - di Giancarlo Borluzzi
Non comprendo perchè Laurent Viérin calpesti la realtà dei fatti per sposare una propaganda affine a quella presente nella Corea del nord. Tale è il suo dichiarato "grande entusiasmo" di fronte al numero di iscritti ai corsi di patois il cui insegnamento, secondo l'assessore, costituirebbe "un valore aggiunto perchè insieme a francese, italiano, inglese, tedesco e alle parlate walser favorirebbe l'arricchimento linguistico, rinforzando il senso di appartenenza alla comunità valdostana".
Parole prive di qualsiasi aggancio al mondo reale: l'unico pregio del patois nelle scuole è dato dalla libertà di studiarlo o meno. Per il resto: i 618 bambini della scuola dell'infanzia iscritti ai corsi di patois lo sono perché i genitori lo hanno imposto, come pure si può dire per i 1446 ragazzini della scuola primaria; tra gli allievi delle scuole secondarie gli iscritti ai corsi di patois sono solo 394, in gran parte studenti della media inferiore intuitivamente mossi da una spinta familiare; il fatto che gli iscritti ai corsi di patois tra gli studenti delle medie superiori siano un numero irrisorio dimostra che, con la possibilità di una decisione autonoma, tali corsi sono giudicati una perdita di tempo perchè anacronistici.
Gli iscritti alle medie superiori erano 5295 nell'anno scolastico appena terminato e 3429 gli iscritti alle medie inferiori l'anno prima (dati trovati su internet). I 394 iscritti ai corsi di patois su quasi 9000 studenti indicano che solo poco più del 4% dei ragazzi "consapevoli" ha optato per tale insegnamento, con intuitivo zampino genitorial-rossonero presente in maniera inversamente proporzionale all'età dello studente. Le altre 2064 adesioni sono scelte genitoriali, ma anche qui le percentuali contano: gli studenti di materne e medie sono circa diecimila, quindi per ogni famiglia che ha stabilito per i figli "inconsapevoli" la loro frequenza ai corsi di patois, altre quattro hanno detto no.
Il patois non rivela sensi di appartenenza generalizzati visto che l'ottantacinque per cento dei potenziali frequentatori dei suoi corsi li snobba. Laurent Viérin poi favoleggia sulle altre lingue della Valle: il francese, che lui spassosamente cita come primo, sarà parlato da un residente su mille, il tedesco non esiste in regione anche se Luciano Caveri l'ha fatto introdurre nello Statuto regionale come lingua dell'alta Valle del Lys e se la RAI-VdA a rimorchio di Caveri stesso lo finge colà presente. Le "parlate walser" riguarderanno in realtà 100/200 persone su 1500 residenti dalle origini variegate. L'inglese è poco noto in quanto il tempo necessario per il suo studio è "rubato" da un francese poi inutilizzato in Valle e pochissimo utile nel mondo.
Mia moglie dettava in italiano, all'IPR con preside Dino Viérin padre di Laurent, dei brani da tradurre in tedesco da parte di studenti 19enni che infarcivano di errori di italiano il dettato, per cui parlando delle conoscenze linguistiche in Valle Laurent Viérin dovrebbe capire di non essere a Zelig...
C'è chi conferisce ai confini regionali un puro valore burocratico e si riconosce in comunità culturali italiane o europee o mondiali che nulla hanno a che spartire con quel cinquecentesimo dell'Italia che è la popolazione valdostana. Laurent Viérin dovrebbe intelligentemente rivolgersi a chi ha capacità di comprensione, non ai "superficiali" influenzabili da una sua propaganda degna di Kim Jong-un da Pyongyang, Corea del Nord.
Giancarlo Borluzzi