Aosta, 10 gennaio 2014. - di Giancarlo Borluzzi
Caro Direttore, prescindere da ciò che è reale, inventare quanto fa comodo per esternare il proprio micronazionalismo costituisce l'imperativo dei localisti valdostani. In questo filone del "chi si loda s'imbroda" si colloca la "replica" (virgolette obbligate perché non c'è nulla di vero in tale scritto) del "Presidente Comitato promozione e valorizzazione VdA Jambon de Bosses Dop", al secolo Edi Avoyer.
Il Presidente ipotizza l'irreale: che io abbia letto in modo attento e "disinteressato" (cosa significa?) la brochure relativa ai suini italiani passati a Bosses per respirare non so quale aria visto che qui giungono già defunti e squartati; quindi, deduce Avoyer, il suo Comitato avrebbe centrato l'obiettivo di un'incisiva comunicazione. Nulla di più errato: io non solo non l'ho letta, ma non sono neppure a conoscenza dell'esistenza di tale brochure; mi sono limitato a commentare i passaggi riportati su La Stampa nell'articolo relativo alla due giorni dedicata ai prosciutti in questione e se l'articolista avesse tratto qualcosa dalla brochure non significa che quest'ultima sia stata oggetto di mia lettura.
Poi Avoyer inventa che lui e io saremmo "accomunati dal grande rispetto per le origini", che per lui penso risiedano nella parte di Valle ove si trattano suini di altre regioni d'Italia e per me proprio nella zona del San Daniele. Falso: sono friulano, regione ove tutti parlano 24/7 il dialetto locale senza indottrinamenti stile "concorso Cerlogne" e ove esiste un'omogeneità dei residenti opposta al caleidoscopio di provenienze presente in Valle, ma non riconosco le mie origini nel Friuli, bensì nei valori di libertà del mondo occidentale, agli antipodi dell'integralismo con pennellata similtribale cara agli inventori di specificità etnolinguistiche valdostane.
Di più: a differenza di Avoyer che, nel propagandare aspetti di questo francobollo di terra italica, si dimostra pilotato dalla sua ideologia, io sono una persona libera e non ho difficoltà, poniamo, a sostenere che preferisco il prosciutto di Parma a quello di San Daniele.
Avoyer si arrampica poi sull'ovvio quando scrive che io condividerei il fatto che Bosses sceglie i prosciutti italiani migliori: aria fritta, tutti i produttori nazionali scelgono con cura le provenienze, ottimali se la bestia è stata ben trattata in vita in altre parti d'Italia, alla faccia delle forzature localistiche del signor Avoyer. Noto che la presunzione è quintessenza della propaganda del Presidente del consorzio di Bosses, visto che giudica "Alta moda" i suoi pochi Jambons e "Pret a porter" quanto viene posto sul mercato da Parma e San Daniele: prescindo da battute come già feci sul termine Re attribuito alle cosce di suini italiani con sosta in Valle prima di essere mangiati.
Avoyer evidenzia poi il tasso democratico dei micronazionalisti quando, dopo aver dichiarato di volermi accogliere in Bosses per una degustazione, anticipa che forse nella brochure di cui sopra, carbonara per molti tra cui me, saranno prossimamente inseriti i giudizi di quanti hanno provato il Jambon, ma il mio parere sarà escluso, in analogia al trattamento che mi sarebbe riservato da Kim Jong-un in caso di interviste relative alla libertà politica in Corea del nord.
In definitiva, il Presidente Avoyer non ha detto nulla di nuovo sul Jambon, ha solo evidenziato le caratteristiche del micronazionalismo valdostano: spero replichi, leggerlo è una fonte di piacere e documentazione sui frutti della dissociazione propagandistica dal reale.