Aosta, 27 gennaio 2014. - di Giancarlo Borluzzi
Caro Direttore, "L'Italia è un paese di poeti, santi e navigatori": questa definizione sarà sgradita a illetterati, non credenti, montanari e a quanti aggiungerebbero categorie dall'impatto nominale pungente, ma non suscita ilarità. A differenza della definizione del "popolo valdostano" secondo il signor Edi Avoyer, dello staff del prosciuttificio in Saint-Rhémy, sulla quale si possono fare due commenti, uno negativo e uno positivo.
Quello negativo riguarda il giudizio, immortalato su internet, del signor Avoyer sul Jambon de Bosses: "Prosciutto simbolo dell'identità di un popolo". Testuale. Povero e derelitto quel popolo la cui identità si anniderebbe in cosce di suini nati, allevati, uccisi e squartati in altre parti d'Italia e poi arrivati in cambio di denaro nel luogo di residenza di un ipotetico "popolo valdostano" che si identificherebbe talmente in tali parti di maiali, neppure autoctoni, da scorgere in loro la propria identità!
Commento positivo: per fortuna tale "popolo valdostano" non esiste, è il parto di micronazionalisti che si dipingono in modo diverso da come sono e poi elevano il risultante quadro surreale a caratterizzazione di tutti i residenti; non esistendo tale popolo, manca un'identità nascosta nelle cosce di suini foresti (trattate in Valle come in ogni altra regione di produzione, con microscopiche varianti che non spingono altre zone d'Italia a identificare i propri residenti con dei prosciutti).
Per evidenziare tali amenità, proprie non dei variegatissimi abitanti della Valle bensì della sua minoranza micronazionalista, sottolineai l'insensatezza del termine Re attribuito al Jambon de Bosses, con replica del nostrano Indiana Jones, scopritore di identità valdostane annidate in un sito insospettabile.
Il 23 gennaio La Stampa ha pubblicato una singolare lettera dei signori Bruno Fegatelli e Alessandro Tibaldi, entrambi nello staff del Jambon: costoro non entrano nel merito di quanto da me denunciato, cioè l'improprio micronazionalismo applicato a cosce di maiali neppure autoctoni, ma utilizzano lo spazio di una rubrica per ripetere concetti già evidenziati dal signor Avoyer, cioè che tali cosce passano attraverso una trafila prima di finire in tavola, come succede a Parma, a San Daniele e altrove nel mondo: monsieur Lapalisse!
I signori Avoyer, Fegatelli e Tibaldi sono accomunati dalla spinta verso gli utilizzi strumentali: Avoyer si serve dei residenti per fingere una loro convergenza identitaria con le cosce di maiali foresti, mentre Fegatelli e Tibaldi utilizzano una rubrica non per esporre opinioni su un dibattito riguardante la ditta per cui operano, ma per fare gratuitamente pubblicità al Jambon eludendo la ragione per cui Avoyer e il sottoscritto si erano confrontati. Come sempre, utilizzi impropri e forzati per finalità soggettive, hobby che costituisce la specificità di alcuni localisti in Valle, altro che le cosce dei suini!
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