Trento, 24 aprile 2013. - di Fuoriposto
Sull'onda lunga di una crisi che sembra non finire più, una crisi che sta affamando i popoli europei colpiti dalle illuminanti manovre dei tecnocrati di Bruxelles, l'informazione e i policy maker, europei e non, continuano a invocare la tanto agognata crescita e ripresa dell'economia. Ma come fare?
In Europa sono due le paroline che sembrano rappresentare la soluzione ai mali di un sistema economico iniquo e fortemente esclusivo: privatizzare e liberalizzare.
Due concetti apparentemente diversi, ma simili nella sostanza e nei modi: il primo sottolinea il passaggio dal regime di diritto pubblico a quello di diritto privato (il passaggio di un ente pubblico in S.p.A, ad esempio), mentre il secondo è una sorta di deregulation che permette a chiunque di inserirsi in mercati dapprima delimitati e regolamentati, una riduzione delle restrizioni all'attività economica, sostanzialmente.
I guru del liberismo che non hanno saputo prevedere questa crisi, che non hanno saputo spiegarla e che non sanno come uscirne continuano a ripeterci come una cantilena quanto lo Stato sia dannoso, quanto il mercato sia il miglior modo per allocare le risorse, quanto la concorrenza dei privati faccia bene ai consumatori.
In Italia questo spauracchio ci è stato agitato più volte, ora come in passato. Magari i santoni del liberal-capitalismo hanno ragione: "Sarà vero? Le privatizzazioni/liberalizzazioni fanno diminuire realmente i prezzi e aumentare il livello e la qualità dei servizi offerti?". Così ho cominciato a documentarmi.
Tutto inizia nel 1992, quando Prodi, Draghi, Ciampi & Co. si accordano, sul panfilo Britannia, con banche d'affari e investitori stranieri per svendere il patrimonio economico, produttivo e immobiliare italiano .
Subito il decreto n° 333 del 1992 trasforma in S.p.A le aziende di Stato IRI, ENI, INA ed ENEL e si da il via alla grande danza: i gioielli produttivi italiani vengono svenduti per fare cassa e per poter rimanere nei parametri SME . Viene fatta cassa sì, ma interi comparti all'avanguardia come IRI e IMI vengono spolpati e venduti al peggior offerente (sic!), solitamente d'oltremanica/d'oltreoceano.
Arrivano poi di pari passo le liberalizzazioni con i vari decreti Bersani e qui la faccenda si fa ancora più netta.
La deregolamentazione porta a una moria dei piccoli esercizi e a un rafforzamento degli oligopoli, il fatturato, ad esempio, del commercio per le piccole attività (vedi alimentari) scende
nel 2003 di -2,8%, nel 2004 di -2,9% e nel 2005 di -2,4%, mentre per la grande distribuzione sale nel 2003 di +3,5%, nel 2004 di +2,1% e nel 2005 di +1,6%.
Non solo, ma i prezzi dei beni e dei servizi liberalizzati coinvolti registrano un aumento delle tariffe maggiore rispetto a quello dei prezzi al consumo, come si vede nel seguente prospetto.
Aumento delle tariffe (al netto energetico): 2002 +0,1%, 203 + 0,9%, 2004 + 0,9%, 2005 + 1,5%, 2006 + 1,6%
Aumento beni e servizi liberalizzati (al netto energetici): 2002 +3,8%, 2003 + 3,6%, 2004 + 2,6%. 2005 + 2,0%, 2006 + 1,9%
Prezzi al consumo: 2002 + 2,5%, 2003 + 2,7%, 2004 + 2,2%, 2005 + 1,9%, 2006 + 1,9%
(Fonte: Ministero dell'Economia e delle Finanze. L'economia italiana nel 2006, pag. 35)
E arriviamo ai giorni nostri, la crisi economica e finanziaria, lo spread. Monti e l'Europa che continuano a chiedercelo a gran voce, insistono sulla grande opportunità che può offrite il libero mercato deregolamentato e lasciato libero di allocare le risorse, "ce lo chiedono i mercati" dicono.
In pochi hanno capito cosa è veramente successo, la portata della truffa.
Prima la denuncia del segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi :"I prezzi o le tariffe sono cresciute con buona pace di chi sosteneva che un mercato più concorrenziale avrebbe favorito il consumatore finale." afferma, e continua "Purtroppo in molti settori si è passati da una situazione di monopolio pubblico a vere e proprie oligarchie controllate dai privati" , poi il definitivo rapporto della Corte dei Conti.
Qui bisogna soffermarsi un attimo per l'importanza del fatto.
La Corte dei Conti un organo di rilievo costituzionale che controlla le entrate e le spese pubbliche sottolinea nel suo rapporto del 10 febbraio 2010 che l'aumento della capacità di generare profitti delle utilities privatizzate "è in larga parte dovuto più che a recuperi di efficienza sul lato dei costi all'aumento delle tariffe che, infatti, risultano notevolmente più elevate di quelle richieste agli utenti di altri Paesi europei".
In sostanza?
Sostanzialmente la CdC di dice che il miraggio di un miglioramento dei servizi e di un abbassamento delle tariffe è sostanzialmente coperto dal fatto che i profitti dei servizi liberalizzati sono sostanzialmente dovuti ad aumenti dei prezzi a danno dei consumatori.
Prezzi aumentati, servizi peggiorati e addirittura il gioco concorrenziale che si trasforma in mercato oligopolistico. Un fallimento totale in nome del libero mercato.
Aprire ai privati per socializzare le perdite e privatizzare i profitti.
È l'Europa che lo chiede.
Ma noi non rispondiamo.