Vicenza, 27 aprile 2013. - di Stefano Biasioli *
Secondo Onofri è, il nostro, un modello autoctono ("mediterraneo") di welfare, basato com'è sul prevalente ruolo delle famiglie e sulla parzialità dell'assistenza erogata. Questo modello è ben diverso da quello dell'Europa del Nord, molto piu' universalistico sia sul piano concettuale che sul piano dell' erogazione.
Dall'analisi, P.Onofri era passato a chiare proposte volte a riequilibrare il sistema italiano: necessità di potenziare l'assistenza; necessità di una riforma parziale, a salvaguardia sia delle prestazioni principali (LEA-LEAS) che della spesa complessiva, con miglioramento del rapporto quantità/qualità; effetti dell'invecchiamento (1,2).
Siamo nel 2013. 16 anni dopo, poco è stato fatto per migliorare il nostro welfare che, cosi', si sta progressivamente deteriorando.
L'ampia documentazione raccolta dal CNEL nel 2012-2013 (che costituirà la base di uno specifico rapporto sul welfare, opera della Va Commissione Consiliare CNEL) dimostra che lo stop alla crescita del PIL e la lunga, inquietante crisi economica hanno aggravato le disuguaglianze denunciate nel 1996 (3).
E' quindi tempo di una RIFLESSIONE MACROECONOMICA che parta dagli effetti negativi, avvenuti almeno dal 2008 ad oggi, con: aumento delle disuguaglianze territoriali e settoriali; effetti distorsivi nel mercato del welfare; l'aumento dell'onere individuale (costo) contro i rischi assistenziali, sanitari, previdenziali (S.Ginebri)(4).
E' ormai doverosa una riflessione sul welfare italiano del terzo millennio, sul futuro di sanità-previdenza-assistenza, in presenza di risorse calanti. Non sarà facile trovare una soluzione adeguata e condivisa, perche' – qualunque opzione venisse scelta- si verificherà una lesione di "una parte del corpo sociale" (S.Ginebri).
Come contributo alla necessaria discussione, formuliamo qui alcune ipotesi, con le possibili conseguenze.
1) RIPENSARE le PRESTAZIONI?
In un'ottica populistica, si potrebbe pensare di ridurre le prestazioni dei "piu' abbienti", aumentando invece le risorse per i gruppi sociali economicamente piu' deboli. Secondo questa linea, occorrerebbe, ad esempio, ritoccare nuovamente le pensioni (!?), aumentando "la pensione base per tutti" e riducendo il valore pensionistico finale per i soggetti con reddito medio-alto, con contestuale riduzione (si spera!) delle tassazioni pensionistiche di costoro, durante la vita lavorativa.
Ovvie le critiche a questa ipotesi: occorrerebbe che entrambe le scelte producessero- come minimo- un "bilancio zero". La minor copertura pensionistica pubblica, per i soggetti colpiti, dovrebbe inoltre essere associata ad un aumento della copertura pensionistica integrativa individuale, con chiari vantaggi fiscali immediati per chi attivasse queste protezioni alternative.
L'altra possibilità poggia sui FONDI INTEGRATIVI CONTRATTUALI, peraltro poco sviluppati fino ad oggi ed i cui rendimenti non paiono, adesso, particolarmente esaltanti.
Se l'insieme dei dati disponibili evidenzia che il sistema è squilibrato ed incompleto, perché il decisore politico non è intervenuto in modo congruo e deciso? Per una serie di ostacoli e cause, cosi' riassumibili.
2) OSTACOLI al CAMBIAMENTO
La politica italiana ha sempre preferito varare provvedimenti di emergenza di fronte alle criticità (od alle cronicità riacutizzate) piuttosto che allestire progetti di medio-lungo periodo.
Le cause di questa fenomenologia sono state variamente identificate/attribuite:
a) alla scarsa efficienza dell'apparato amministrativo, centrale e periferico;
b) allo scarso adattamento dell'alta burocrazia ai nuovi compiti assegnati, con disuguaglianza territoriale nelle prestazioni finali erogate (numero, qualità, costo);
c) alle disuguaglianze storiche nei settori di attività, nei territori, nelle forme di impresa (PMI), nell'efficienza;
d) alla mancanza di un consenso politico generale in tema di manovre equilibratrici;
e) al federalismo incompleto;
e) alla consapevolezza (paura?) che – qualunque intervento venga messo in atto o solo tentato, ad esempio verso la "povertà estrema"- esso produca un aumento immediato delle disuguaglianze, reali o percepite. Lo stesso dicasi per le manovre categoriali, in grado di generare pesanti distonie tra dipendenti e professionisti autonomi;
f) alla convinzione, diffusa tra i politici, che scelte incisive sul welfare, con aumento delle risorse ai poveri e con riduzione di quelle alla "classe media", aprirebbero un ennesimo conflitto tra le parti sociali, senza che –oggi- esista una reale certezza sul raggiungimento di un equilibrio finale del sistema.
COMMENTO
A nostro avviso è preciso compito del CNEL affrontare il tema preso in esame, unendo ad un'analisi lucida dell'esistente una serie di proposte concrete, volte a fronteggiare ed a risolvere le nuove emergenze sociali. Va, pero' assolutamente evitata l'ipotesi di una maxiriforma strutturale, che l'attuale parlamento non sarebbe in grado di affrontare e, tantomeno, di approvare, alla luce delle tristi prove avvenute nelle ultime settimane.
E' fondamentale che , partendo dalla constatazione che l'attuale modello solidaristico italiano ha prodotto una società notevolmente disuguale (nonostante le buone intuizioni teoriche iniziali), il CNEL contribuisca in modo fattivo al doveroso dibattito sul welfare, integrando l'analisi macroeconomica strutturale con proposte/progetti concreti e sostenibili. Ovvio e doveroso, da parte del CNEL, sia il coinvolgimento di tutte le parti sociali che l'elaborazione, successiva, di un progetto di legge, da affidare al parlamento e da propagandare in ogni sede istituzionale.
Il tutto, per una volta, in tempi brevi.
Come scrive S.Ginebri, "gli stringenti e crescenti vincoli finanziari a cui è sottoposto l'intervento pubblico non possono essere il pretesto per accantonare l'attenzione alle politiche sociali. Al contrario, proprio nei momenti di crisi produttiva e finanziaria è necessario avere idee chiare sulle priorità dell'intervento per alleviare le condizioni di sofferenza sociale"(4).
Sottoscriviamo in pieno, ricordando a chi (per caso) ci legge, che la solidarietà e l'equità sociale , vere e non fasulle, sono il tessuto connettivo di una società democratica e libera. Non solo, ma recenti ricerche tedesche hanno dimostrato che l'investimento di un euro nel sociale, genera 12-13 euro di PIL....(5).
* Consigliere del CNEL. Responsabile del "gruppo welfare" della Va Commissione Consiliare - Segretario Generale CONFEDIR.
CENNI BIBLIOGRAFICI
1) ONOFRI P.: The economics of an ageing population:macroeconomic issues. CHELTENHAM, E.Elgar, 2004, pp.XVI-XXVI.
2) ONOFRI P.: Credito pubblico e rendita nel finanziamento della spesa sociale. In: I Classici e la Scienza, Milano, RIZZOLI,2007, pp.185-193.
3) AA.VV: Rapporto sul welfare 2012-2013 (Versione 5.3, 2013).
4) GINEBRI S.: Relazione alla Va Commissione CNEL, 24/04/13 (Appunti).
5) AA.VARI: Relazione di Equity Action sulle disuguaglianze di salute in Italia (Bozza di rapporto, 2013).