
La Resolution Foundation, istituto che ha effettuato la ricerca, ha rilevato una percentuale di occupati del 73%, come nel 2008. È un risultato con ombre e luci: Londra guida la ripresa con +2,3% rispetto al 2008. In generale delle 12 regioni inglesi, le cinque ad est mostrano risultati se non proprio come Londra tuttavia attorno al +1%: le peggiori sono l'Irlanda del Nord e il Galles che mostrano ancora percentuali di 1,6% sotto i risultati del 2008.
Non è tutto oro quel che riluce, perché il recupero dell'occupazione è avvenuto a spese dei salari, che in media sono diminuiti dell'8% rispetto al 2007 e si è verificato un aumento degli impieghi part-time a spese del lavoro a tempo indeterminato.
Tutto considerato però il Regno Unito è avviato verso la soluzione della crisi senza eccessivi scossoni.
E da noi? Vien freddo solo a pensarci. Le statistiche riportano una disoccupazione del 12,6%, con una situazione peggiore al Sud e con una disoccupazione giovanile al 53% (dati OCSE) . Tutte le previsioni degli analisti sono negative per quanto riguarda economia e occupazione.
Perché un divario così grande fra due economie che negli anni scorsi avevano viaggiato quasi parallele e in qualche momento l'economia italiana aveva superato quella inglese? Bisogna andare a guardare dove sono le differenze e dove il Regno Unito ci superi come politica economica e come provvedimenti strutturali.
L'Italia viene da un lungo periodo di dirigismo statalista, simile a quello dei disciolti stati socialisti dell'Est. Per Giuseppe de Tommaso, direttore della Gazzetta del Mezzogiorno in un'intervista rilasciata ad Italia Oggi "l'Italia assomiglia sempre più a quel tipo di Stato che dominava allora l' Est Europa: non libero, né liberale. Una società chiusa, per dirla con Karl Popper, che si esauriva per autocombustione. (...)E' tuttora in piedi un muro italiano eretto con il cemento di statalismo e di municipalismo, di corporativismo e di assistenzialismo di fiscalismo e di clientelismo: una cortina di ferro di cui l'Italia non ha fatto nulla per liberarsi."
I governi che si sono succeduti, socialisti e socialisteggianti, avevano un solo problema: che presto o tardi i soldi degli altri sarebbero finiti. Nel migliore dei casi affascinati dalle sciagurate dottrine di Keynes, che tanti guai avevano portati agli Stati Uniti ai tempi del new deal, non avevano fatto altro che continuare ad accumulare provvedimenti restrittivi e liberticidi che oggi pongono una camicia di Nesso all'economia italiana.
Anche il governo Renzi, nominalmente innovatore, non modifica di una virgola la tendenza al dirigismo. Si strozzano le imprese per poi sussidiare quelle che si ritengono da salvare. Il dirigismo economico europeo sta scricchiolando sotto la spinta dei popoli e dei politici che vedono la loro base elettorale calare a picco. In Italia ci permettiamo di perdere tempo a discettare sull'art.18 e ogni giorno migliaia di imprese chiudono. Vengono in mente i padri della Chiesa di Costantinopoli, riuniti a discutere del sesso degli angeli mentre il Turco era alle porte.
Le nostre maggiori imprese, nostro vanto ed invidia degli altri, sono come animali agonizzanti, con gli avvoltoi che roteano su di loro attendendo che siano abbastanza indeboliti. Quando hanno perso sufficientemente valore o arrancano respirando a malapena, i concorrenti stranieri le comprano per una pipa di tabacco, poi le delocalizzano immediatamente non fidandosi – a ragione- del sistema giudiziario italiano. Così la nostra economia si impoverisce ogni giorno di più.
Occorrerebbe una cura da cavallo di riduzione delle tasse per vivacizzare la circolazione del denaro (invece di pensare ad eliminarlo) unita ad un vero disboscamento della foresta di enti inutili e a tagli a colpi di machete alle leggi liberticide e ai bavagli posti a qualsiasi attività. Se non succederà qualcosa di grave in Europa ( vedi uscita del Regno Unito o abbandono dell'Euro da parte di qualcuno) le nostre possibilità di miglioramento sono nulle.