Di fronte ai poco più d ventimila spettatori, le due compagini si piazzano in campo con i tradizionali assetti tattici: la Juventus propone il tre-cinque-due allegriano, con Locatelli fulcro del centrocampo, assistito dalle due mezze ali Fagioli e Rabiot, con Kostic e Cuadrado ad allargare sulle fasce la linea di difesa avversaria e con le due punte acuminate Chiesa e Vlahovic.
La Lazio risponde con il classico 4-3-3 di Sarri, che lascia però il suo giocatore migliore Milinkovoc-Savic ad assaggiare la panchina dell'Allianz Stadium, sostituito dall'operaio Vecino ad affiancare l'artista Luis Albero in supporto del trio d'attacco Zaccagni-Immobile-Anderson.
La partita scorre via piacevole, con gli juventini abili ad asfissiare i giocolieri laziali privandoli così della materia prima del loro gioco, lo spazio, serrando le linee ed abbassandosi fin sulle soglie della loro area di rigore, presidiata militarmente dal terzetto difensivo Danilo-Bremer-Sandro.
La Juventus golosamente intravede fertili pianure oltre la linea difensiva laziale, tenuta sempre testardamente alta: cerca così di conquistarle con cambi di gioco sugli esterni o con lanci lunghi a scavalcare il trafficato centrocampo, costruendo così un paio di occasioni con il perpetuum mobile Kostic e con un inserimento di testa dell'ottimo Rabiot.
Quando oramai il thè caldo è servito negli spogliatoi, arriva però la capocciata del difensore Bremer su un'uscita comica dello sciagurato Maximiano, al termine di una serie infinita di cross nati da un calcio d'angolo: è la rete che decide il destino della partita.
Tutto il secondo tempo vede la squadra laziale intenta a riproporre inutilmente lo stesso tema d'attacco, quello delle veloci triangolazioni a liberare l'attaccante verso la porta, dando l'impressione dell'amante imbranato che armeggia inutilmente, sempre più disperato, sui bottoni del corpetto della bella di turno, rimanendo alla fine stanco, deluso e a becco asciutto.
E anzi la Juventus ad andare più vicina al goal, con un paio di proiezioni offensive nemmeno tanto convinte, nel timore di smarrire la compattezza dimostrata nell'arco di tutti i novanta minuti di gioco.
Si chiude così sull'uno a zero una partita risultata tutto sommato semplice per la Signora del calcio italiano.
Tornano così in mente le parole del "Giuanin" Giovanni Trapattoni, a proposito dello spirito indomito dei bianconeri, alle prese con vicende extracalcistiche assai difficoltose: la Juventus "è come un drago a sette teste, gliene tagli una ma ne spunta sempre un'altra".
(ella foto Bremer esulta)