TORINO – La caccia è durata giorni. Said Alì, 24 anni, marocchino d’origine ma cittadino italiano, conosciuto su TikTok e Instagram come “Don Alì, il Re dei Maranza”, si muoveva come un fantasma tra le cantine e i sottoscala di Barriera di Milano. Il suo regno di 338mila follower su TikTok e 222mila su Instagram stava per crollare.
L’Agguato che Ha Scosso Torino
Tutto inizia alla fine di ottobre, in un pomeriggio qualunque fuori da una scuola elementare. Un maestro arriva a prendere sua figlia, una bambina di appena tre anni e mezzo. Non sa che lo stanno aspettando.
Don Alì e due membri del suo team – ragazzi di 24 e 27 anni – lo accerchiano. L’accusa è pesante come un macigno: “Hai maltrattato un bambino, mio nipote”. Nessuna prova, nessuna verifica. Solo la furia di chi si è auto-incoronato giustiziere di strada.
Il maestro prova a proteggere la piccola, la bambina si nasconde terrorizzata tra le sue gambe. Ma Don Alì non si ferma. Gli schiaffi alla nuca arrivano secchi, uno dopo l’altro. Le minacce si accavallano mentre i cellulari riprendono tutto. Una collega accorre per portare via la bambina, ma l’aggressione continua: il professore viene inseguito, umiliato, minacciato ancora.
Il Video che Diventa Arma
Poche ore dopo, quel video esplode su Instagram. Don Alì lo pubblica come un trofeo, con una didascalia che gela il sangue: “Pedofilo”. Nessuna censura sul volto del maestro, nessuna pietà. Il video diventa virale, rimbalza tra i profili dei “maranza”, viene condiviso migliaia di volte.
Ma non basta. Don Alì rilascia un’intervista a Le Iene, e anche lì rilancia: “Chi abusa dei bambini va punito”. Poi, guardando dritto in camera, aggiunge la minaccia finale: “E se la prossima volta abusi un bambino, finirà molto peggio!”.
Il maestro, intanto, crolla. Il certificato medico parla chiaro: stato d’ansia acuto, la quotidianità familiare stravolta, la paura che ti mangia dall’interno. Denuncia tutto alla Procura di Torino. I PM Patrizia Caputo e Roberto Furlan aprono il fascicolo.
Batman con la Mazza Chiodata
L’11 novembre, corso Novara, quartiere Aurora. Una troupe di “Dritto e Rovescio” (Rete 4) è lì per intervistare proprio Don Alì. Ore 13, l’appuntamento è fissato. Ma qualcosa va storto.
Un uomo incappucciato, vestito con una tuta da ginnastica nera, sbuca dal nulla. In mano ha una mazza chiodata. Si avventa sull’auto della troupe come una furia cieca: il parabrezza esplode in mille schegge, il lunotto posteriore si frantuma. “Non fatevi mai più vedere qui”, urla prima di sparire.
Le telecamere di sicurezza, i testimoni, le descrizioni fisiche: tutto porta a lui. Don Alì, nei giorni successivi, posta sui social un video criptico. “Batman in giro per Barriera di Milano”, scrive qualcuno nei commenti. Gli investigatori della Squadra Mobile, guidati dal dirigente Davide Corazzini, non hanno dubbi.
La Caccia nel Labirinto
Quando gli agenti si presentano per arrestarlo, Don Alì è già sparito. Si è reso irreperibile, protetto da un cerchio di amici e ammiratori. Le ricerche si concentrano su Barriera di Milano, il quartiere che lui stesso definiva “il mio territorio”.
Venerdì 22 novembre, sera. I falchi della Mobile ricevono una soffiata: è nascosto nelle cantine di un palazzo. Gli agenti circondano lo stabile. Quando Don Alì li vede, parte la fuga. Un inseguimento a piedi tra i sotterranei, tra umidità e buio. Ma non c’è scampo. Viene bloccato, ammanettato, portato in Questura.
I suoi due complici vengono rintracciati poco dopo: per loro scatta l’obbligo di firma.
Le Parole del Giudice
Il GIP del Tribunale di Torino non usa mezzi termini nell’ordinanza di custodia cautelare: “Un’indole totalmente incapace di sottostare non solo alla legge ma, a monte, alle più basilari regole della convivenza civile”.
Don Alì non è nuovo a questi episodi. Nel suo curriculum: denunce per lesioni, danneggiamento, resistenza a pubblico ufficiale. Ex pugile, cresciuto a Barriera di Milano, aveva costruito il suo impero digitale su un’immagine di “paladino dei deboli” – video provocatori, sfide alle forze dell’ordine, minacce mascherate da giustizia sociale.
Ma stavolta il castello è crollato. Le indagini hanno dimostrato che le accuse contro il maestro erano completamente infondate. Nessun maltrattamento, nessun abuso. Solo la furia cieca di chi ha confuso i like con il diritto di farsi giustizia da solo.
Il Rischio Emulazione
La Procura e la Questura hanno sottolineato la pericolosità sociale del fenomeno: centinaia di migliaia di giovani che seguono questi modelli, che vedono in Don Alì un eroe. Il rischio di emulazione è altissimo, soprattutto tra i giovanissimi di periferia.
Il GIP ha disposto il carcere proprio per questo: “Il rischio di reiterazione è concreto, attuale ed elevatissimo. Precedenti misure non hanno prodotto alcuna efficacia dissuasiva. Potrebbe violare la misura per riaffermare la sua ‘intoccabilità'”.
La Domanda che Resta: Quanti altri “Don Alì” stanno costruendo il loro regno digitale sulla violenza spacciata per giustizia? E quando i social diventeranno complici inconsapevoli?
